Sostenibilità, il grande equivoco dell’acquisto consapevole

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Poco meno di un italiano su due dice di aver acquistato prodotti di imprese con programmi di sostenibilità sociale, ma…

Quarantacinque italiani su 100 avrebbero acquistato negli ultimi sei mesi un prodotto  da aziende che hanno sviluppato programmi di responsabilità sociale. Il dato emerge dall’ultima indagine della Nielsen intitolata Global Corporate Citizenship«L’attenzione nei confronti della corporate social responsibility», spiega Giovanni Fantasia, amministratore delegato della Nielsen Italia, «sta crescendo nel corso degli ultimi anni, sia a livello di ricerca accademica, sia come pratica di management. Questo maggiore focus segue una crescente sensibilità al tema da parte del consumatore che esprime un bisogno informativo in relazione alla corporate social responsability delle aziende produttrici. Il consumatore vuol sapere come chi ha prodotto quel determinato bene o servizio ha operato su tutta la filiera produttiva e se lo ha fatto in maniera responsabile».

Se fosse possibile avere la visibilità dell’intera filiera, come spiega correttamente Fantasia, acquisteremmo tutti prodotti sostenibili. Il problema è proprio questo. Tranne pochi beni, nell’alimentare al massimo l’8, 10 per cento, la filiera è totalmente opaca. Ed è così per una scelta precisa dell’azienda produttrice. Come ho capito in oltre tre anni di inchiesta  (il blog ne è la prova tangibile) le etichette trasparenti, al di fuori dei prodotti a indicazione geografica, sono l’eccezione. Dunque, come faranno mai 45 consumatori su 100 ad aver riconosciuto prima e acquistato poi almeno un prodotto da fabbricanti impegnati nei programmi di responsabilità sociale? Francamente non saprei. So però che la Nielsen è troppo seria per aver preso un abbaglio. Dunque una spiegazione ci sarà. Forse basta interrogarsi su che cosa si intenda per produzione socialmente sostenibile, anche se quasi il 35% degli intervistati nell’indagine dichiara esplicitamente (si veda il diagramma allegato)  «prima di acquistare una certa marca controllo la confezione per assicurarmi che che si impegni a perseguire un impatto sociale e ambientale positivo». Confesso: io ci provo da tre anni ma ho capito soltanto che le etichette sono reticenti proprio per evitare che il consumatore possa verificare da dove arriva quel che sta comperando e come è stato prodotto.

Vale la pena di notare che appena il 30% degli italiani, però, si dichiara molto interessato ad aumentare la sostenibilità delle fonti (intese come origine) dei prodotti che acquista.

La verità è un’altra. Dal momento che soltanto il 4 per cento di noi sa fino in fondo cosa sia un consorzio Dop, come funzioni il disciplinare che lo regola e cosa comporti sulla tracciabilità del prodotto che sta acquistando, temo che tutto il discorso della responsabilità sociale d’impresa come valore percepito dai consumatori si regga su un colossale equivoco: non è l’etichetta a decretare la sostenibilità sociale, ma l’immagine della marca e del relativo produttore. Che però non c’entra nulla con le produzioni realmente sostenibili.

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