Decreto sullo stabilimento in etichetta: caro ministro Martina, fuori la carta!

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Torna lo stabilimento in etichetta. Il ministro Maurizio Martina annuncia il decreto che però è soltanto in bozza. E non è accessibile. Dovrei fidarmi e raccontarlo, sulla base di quel che il titolare dell’Agricoltura scrive nella nota diramata qualche giorno fa. Ma non lo faccio. Vi confesso che non mi fido più.

Ma cominciamo dall’inizio. «Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali», recita un comunicato diffuso da Martina venerdì 17 marzo 2017, «rende noto che il Consiglio dei Ministri ha approvato (…) lo schema di decreto attuativo che reintroduce l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento in etichetta». 

Quella del luogo di trasformazione non è una novità. Era previsto fino a quando quei soloni della Commissione europea non hanno deciso di abolire l’obbligo di scriverlo in etichetta. Il motivo è il solito: dare una mano ai furbacchioni che confezionano gli alimenti made in Italy (si fa per dire) fuori dall’Italia e li spacciano per cibi tricolori.

A far cadere il vincolo è stato il Regolamento europeo numero 1169 del 2011. Dunque non è da ieri che Bruxelles ha cancellato il dovere di rendere noto ai consumatori dove si trovi lo stabilimento di trasformazione dei cibi. Ma c’è di più. Lo schema di decreto (in pratica una bozza) di cui parla Martina è in pista dal settembre 2015. Non sbaglio anno! Ecco il post in cui ne riferivo. Ci sono voluti 18 mesi prima che un disegno di legge diventasse un decreto attuativo. Anzi: una bozza di decreto. 

Per di più, come riferisce il sito di Palazzo Chigi, (qui l’ordine del giorno) il governo non ha approvato nulla, perché si trattava di un «esame preliminare». E infatti, per «schema di decreto attuativo», si intende una bozza. Che infatti ora passa all’esame «delle Commissioni agricoltura di Camera e Senato per i pareri», come ammette lo stesso Martina nel comunicato.

Il solito gioco degli annunci che funzionano un po’ come i boomerang. Vanno e vengono. Compaiono e scompaiono per poi ricomparire a anni di distanza. E non è finita. Già, perché dello «schema di decreto» non c’è traccia alcuna. Non si trova sul sito del Ministero delle Politiche Agricole, né su quello di Palazzo Chigi. E neppure sulle pagine web delle Commissioni competenti di Montecitorio e Palazzo Madama. Il gioco è il solito: parte l’annuncio su un provvedimento dell’esecutivo e i giornalisti devono raccontarlo sulla parola. Senza conoscerlo. Fidandosi solo di quel che scrive Martina nel comunicato.

E per esperienza diretta ho imparato che, di solito, le norme riguardanti la trasparenza a tavola nascondono delle clamorose fregature. Soprattutto nelle parti che devono fare riferimento (pena la bocciatura da parte della Commissione Ue) ai Regolamenti comunitari. Sta accadendo proprio così con altri due provvedimenti governativi, il decreto sull’origine del latte e la norma destinata a introdurre il marchio unico made in Italy (1 e 2).

Ecco perché, prima di esultare, aspetto di leggere il testo del nuovo atto. Caro Martina, fuori la carta! 

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