Stesso prezzo per Dop, comunitario e italiano 100%. L’extravergine alla Coop/3

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La scelta dell’extravergine è complessa anche alla Coop. Dopo le prime due puntate all’Iper di Montebello e all’Esselunga di Voghera eccoci al locale negozio del colosso della cooperazione. E pure qui mi imbatto nella tradizionale giunga dell’olio: Dop e Igp che si faticano a riconoscere (a meno di non sapere a menadito cosa sia un disciplinare e come funzioni), vero oro verde made in Italy e parecchio extravergine #italianomanontroppo.
Il punto vendita Coop non ha lo stesso numero di referenze dei precedenti, ma la casalinga di Voghera si trova di fronte allo stesso dilemma: come scegliere? In questo caso per descrivere la difficoltà di individuare il vero olio italiano parto dal prezzo: nella tabella che pubblico qui sotto ho messo in ordine le diverse referenze in base al cartellino, prima le più care e poi giù, a scendere, fino alle più economiche. In verde chiaro gli oli Dop e Igp, in verde scuro gli italiani al 100% che lo dichiarano in etichetta, in arancione gli #italianimanontroppo. A guardare le prime due colonne si direbbe che vincono i veri extravergine made in Italy. Ma così non è. Per capirlo basta partire dal prezzo mediano, quello cioè che sta esattamente in mezzo al più alto e al più basso. Alla Coop il prezzo mediano equivale a 7,99 euro. Per pura curiosità all’Esselunga era di 9,32 e all’Iper di 7,87.
Ebbene, esattamente al valore di 7,99, dunque con lo stesso identico prezzo, si trova tutto il campionario che mette in crisi i consumatori. Per la precisione sono ben 5 le referenze in vendita al valore mediano: l’extravergine Alberti (che in etichetta dichiara: «olio italiano»), il Coop Fiorfiore Terra di Bari Bitonto (una Dop che però non si identifica come inequivocabilmente italiana anche se lo è), l’Isnardi Mosto (oli extravergini della Ue), il Grezzo Naturale Farchioni (miscela di oli della Ue) e il Viviverde Bio Coop (100% italiano scritto in etichetta). Cinque extravergini, stesso prezzo, origini diversissime. Sfido chiunque, a meno di non dedicare svariati minuti alla lettura delle etichette, a trovare l’intruso nel brevissimo lasso di tempo che solitamente i consumatori dedicano all’acquisto di un genere di largo consumo. Il brand è italiano, la denominazione accattivante e pensi di mettere nel carrello un’autentica prelibatezza originaria del tuo Paese. Ma non è così. Può accadere indifferentemente di portare in tavola una Dop oppure una miscela di oli comunitari.
Quanto a numero complessivo di referenze, circa una su due (le vedete in grigio nelle colonne dalla 3 alla 8) non si identifica immediatamente come italiana al 100%. Perché non lo è oppure perché appone il solo bollino Dop o Igp, confidando che il consumatore sappia davvero cosa sia quel cerchietto giallo e rosso (Dop) o blu e giallo (Igp) con caratteri minuscoli al limite dell’illeggibilità.
Ma il censimento delle referenze non descrive fino in fondo la confusione che si trova davanti la casalinga di Voghera. Per comprendere l’effetto arlecchino del bancone tipo, bisogna fare un altro calcolo, quello dei centimetri lineari di scaffale riservati a ciascuna tipologia di prodotto. Ed è quel che racconterò nella prossima puntata, dopo aver fatto nuovamente visita a Iper, Esselunga e Coop armato di metro e taccuino.

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