Toc toc, cara Dop, se ci sei batti un colpo

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Cara Dop dove sei? Ci sei batti un colpo… L’indagine sulle casalinghe di Voghera (di cui ho parlato nel post precedente) mi ha permesso di confermare un sospetto che nutrivo da tempo: i consumatori non sanno bene cosa significhi il bollino dei consorzi di tutela delle Denominazioni d’origine protette (questo vuol dire l’acronimo Dop), non lo associano a un’idea di prodotto 100% made in Italy e, soprattutto, in appena 4 casi su 100 sanno cosa sia un disciplinare, come funzioni e cosa comporti.
Appena il 36% delle casalinghe di Voghera ricorda il bollino rosso e giallo che compare sui prodotti protetti, ma l’idea che vi associano è sideralmente lontana dalla realtà. Sono eloquenti, al riguardo le risposte delle 104 intervistate nell’indagine «Cosa mettono nel carrello le casalinghe di Voghera». Alla domanda: che cosa significa il bollino? Le risposte sono state nell’ordine: «Quando un prodotto è più buono», «Indica la qualità», «È un marchio della Ue».Senza contare che le risposte «non so» e «non l’ho mai notato» assieme pesano più di ogni di ogni altro parere.
Ma la responsabilità, ci tengo a chiarirlo, non è delle casalinghe-consumatrici. Il bollino della Dop non si nota perché è di dimensioni ridotte sulle confezioni e, soprattutto, non è associato ad alcun altro simbolo, né dicitura, che identifichi in maniera incontrovertibile l’italianità del prodotto. eppure, a ben vedere, si tratta di uno dei pochi casi in cui il marchio «100% Italia» (bocciatoci inopinatamente dalla Ue a trazione tedesca) ci starebbe bene. Ma non c’è.
So bene quale sia l’obiezione dei Consorzi di tutela: non serve definire «made in Italy» un prodotto che per legge deve esserlo per forza, visto che i disciplinari vincolano i produttori a utilizzare soltanto le materie prime provenienti da zone geograficamente ben definite del nostro Paese. Già, ma questo lo sa chi conosce bene i disciplinari e come funzionano. Non certo i consumatori.
Allora la mia domanda, semplice semplice, è una sola: perché? Per qual motivo le Dop non devono essere immediatamente percepibili (e percepite) dai consumatori come prodotti al 100% italiani? Ricordo una conferenza stampa del Grana Padano in occasione dell’ultima edizione del salone Tuttofood di Milano che ha mandato in scena il lamento del consorzio Dop per i cloni presenti nella grande distribuzione, spesso confusi sui banconi dei supermercati con i veri. Una situazione surreale: sul banco degli imputati è finito il Gran Moravia di Roberto Brazzale che è sì prodotto nella Repubblica Ceca, ma dichiara chiarissimamente l’origine in etichetta! A differenza del Grana Dop. Dettaglio non irrilevante, il «processo» è stato istruito senza mai fare il nome dell’accusato.
Ripeto dunque la domanda: perché le Dop non dichiarano la loro origine italiana? Se ne vergognano? Oppure il motivo è ben altro, magari legato al mantenimento dello status quo a livello commerciale?
Toc toc, cari consorzi, per favore, se ci siete battete un colpo?

Ricordo-del-marchio-DOP

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