Ultima chiamata per salvare la carne italiana

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A volte la politica si occupa dei problemi concreti degli italiani. E’ accaduto ieri, quando la Commissione Agricoltura del Senato, guidata dall’imperturbabile Paolo Scarpa Bonazza Buora ha ascoltato nel corso di un’audizione Fabiano Barbisan, presidente del Consorzio l’Italia Zootecnica. Gli allevatori sono andati a Roma con una missione precisa: salvare la carne italiana. Dopo i ribassi registrati dalle quotazioni della carne alla Borsa Merci di Modena, calate del 36%, per ogni capo che vendono ci rimettono da 70 a 150 euro. La scorsa settimana, accompagnato dall’ottimo Giuliano Marchesin, direttore generale del Consorzio, ne ho incontrati alcuni: Domenico e Francesco Galbier a Ronco all’Adige, Roberto Marchetti a Rossano Veneto, Gabriele e Mauro Belluco a Bovolenta, Mario Paolo Guzzi, a Correzzola e il vulcanico Barbisan a Lugugnana di Portogruaro.
Sarebbe troppo facile dire che i nostri allevatori sono vittime della globalizzazione. In realtà vengono messi fuori mercato da un gioco al ribasso che si svolge tutto in Italia, alla Borsa Merci di Modena dove le mezzene si pagano tre euro e sessantuno centesimi al chilo, lo stesso prezzo di 21 anni fa, mentre nel frattempo la bistecca è radoppiata, dai 6,20 euro dell’89 agli attuali 12 euro al chilogrammo. Negli occhi dei Galbier, dei Marchetti, dei Belluco e dei Guzzi leggi tutto lo sgomento di chi ha passato una vita intera ad allevare manzi per portare in tavola una carne splendida, tenerissima e gustosa come non ti aspetteresti. E che ora incassa meno di quanto spende per allevare i vitelloni. Tutta gente schietta che non ha santi in paradiso: i conti delle loro aziende devono tornare perché non c’è nessuno che li aiuta. Niente sovvenzioni, niente aiuti di Stato. Niente di niente. Alla fine dell’anno tirano una riga e la voce “avere” deve essere superiore al “dare”. Altrimenti si chiude.
Ebbene, il Consorzio guidato da Barbisan è andato al Senato a illustrare un “Piano carni” messo a punto nel corso degli anni. Non chiedono soldi gli allevatori, sanno bene che in questa pazza estate del 2011 al massimo lo Stato te li può domandare. Il Piano carni prone infatti un meccanismo che preverde l’autofinanziamento della filiera per promuovere la carne italiana di qualità con un marchio che consenta ai consumatori di individuarla in macelleria e sul bancone dei supermercati. Il meccanismo ricalca quello adottato con successo in Francia dalla Interbev: ogni anello della catena che porta dalla stalla alla tavola dei consumatori versa in una cassa comune meno di un centesimo al chilo. I soldi così ottenuti (da noi si tratterebbe di oltre 12 milioni di euro) servirebbero per comunicare ai consumatori che esiste la vera carne italiana di qualità.
Il Piano presentato a Scarpa Bonazza prevede anche la creazione di un marchio, un “brand” direbbero i pubblicitari: “Vitellone ai cereali Sigillo Italiano”. Con l’aiuto di un amico che fa il grafico creativo (grazie Simone!) ho realizzato un marchio che vedete in testa a questo post. Nulla di ufficiale. Giusto per rendere l’idea del simbolo che i consumatori potrebbero cercare quando fanno la spesa per essere sicuri di acquistare carne italiana.
In realtà Barbisan e Marchesin hanno già illustrato al ministro dell’Agricoltura Francesco Saverio Romano il progetto. Prima lo avevano fatto con Galan e prima ancora con Zaia: sono almeno tre anni che il Piano carni è pronto a decollare. Non servono soldi, quelli li troverebbero gli allevatori. Basterebbe che il Ministero, la politica (o la “casta” come va di moda dire) diano il via libera.
Non potrò mai dimenticare lo sguardo con cui mi guardava il giovane Galbier a Ronco all’Adige mentre il sottoscritto ascoltava il suo papà raccontare come si può perdere una montagna di soldi e il lavoro di una vita allevando vitelloni. In quegli occhi di giovane uomo c’era tutto lo sgomento di chi non sa spiegarsi come mai un grande Paese come il nostro non sappia difendere le proprie produzioni. Vi confesso che non sono stato capace di spiegarglielo. Ma mi riprometto di farlo.

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