Un decalogo della Forestale per difendersi dai falsi a tavola

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Sulla newsletter del Corpo forestale dello Stato è uscito un interessante decalogo  su come difendersi dalle agropiraterie. L’ho scaricato e salvato qualche giorno fa. Poi ho cercato nuovamente di collegarmi alla pagina di cui avevo registrato il link, senza riuscirvi. Pubblico il documento integrale così come l’ho trovato. È molto chiaro e utilissimo per orientarsi nella giungla di prodotti italiani e finto made in Italy che costella i banconi dei supermercati. Da leggere e memorizzare soprattutto  la parte che riguarda le differenze fra Dop (Denominazione di origine protetta) e Igp (Indicazione geografica protetta). Quasi mai quel che mettiamo nel carrello corrisponde ai nostri desideri e alle nostre aspettative. Ma non è «colpa» dei consumatori. Quanto «merito» dei produttori.

DECALOGO: COME DIFENDERSI DALLE AGROPIRATERIE

  1. Leggere attentamente le etichette. Ovvero controllare la denominazione di vendita, il luogo di produzione, in particolare per i prodotti che riportano la lista degli ingredienti, verificare la data di scadenza o attenersi alle indicazioni relative al consumo entro la data riportata sulla confezione.
  2. Prestare attenzione alla provenienza del ciboOccorre ricordarsi sempre che le indicazioni dei luoghi geografici in etichetta sono consentite solo se siamo di fronte ad una Denominazione di origine protetta (Dop) o ad una Indicazione geografica protetta (Igp). La differenza fra una Dop e una Igp sta nel fatto che per un prodotto Dop tutta la filiera produttiva a partire dalla materia prima avviene in una determinata zona geografica a differenza della IGP. Ad esempio la mortadella di Bologna Igp può essere prodotta solo in Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, Provincia di Trento, Toscana, Marche e Lazio, ma non c’è alcuna regola sulla provenienza delle carni. Stessa cosa per la bresaola della Valtellina (Igp).
  3. Conoscere le regole e il processo di produzione dell’alimentoPer esempio, i prodotti lattiero caseari non Dop e Igp non hanno alcuna regola prestabilita sulla tipologia di latte da utilizzare. La mozzarella può essere prodotta anche non utilizzando il latte, basta “riavvivare” la cagliata (latte coagulato) congelata o refrigerata, in acqua calda, aggiungere sale e, se necessario, acido citrico, filare l’impasto e infine raffreddare e confezionare. Il sistema è veloce, non si usa il latte e i costi di produzione oscillano da 3,0 a 4,0 €/kg, che raddoppiano nel listino al dettaglio. La normativa vigente non obbliga le aziende a riportare sulle etichette l’indicazione di origine delle materie prime e nemmeno l’obbligo di precisare l’impiego di cagliate. Sull’etichetta dovrebbero essere indicati infatti i seguenti ingredienti: “cagliata, acqua, sale, – seguiti dagli additivi: – acido citrico, lattico e, se presente, sorbato di potassio”. Tuttavia, poiché la legge non obbliga ad indicare il termine “cagliata”, raramente questa parola compare tra le diciture in etichetta. Il prodotto non ha il sapore tipico di fresco, il colore può tendere maggiormente al giallo la struttura è meno “succosa” e, se si usa cagliata conservata da molto tempo, la mozzarella ha più il sapore del formaggio che non di latte fresco. In Italia è vietato ricostituire il latte ed utilizzarlo per la produzione di formaggi negli altri paesi UE no.
  4. In alcuni casi i formaggi a pasta filata usati nelle pizzerie hanno tutte la forma di parallelepipedo e sono utilizzate da molti pizzaioli perchè contengono meno acqua. Quelle finte sono ottenute con cagliate refrigerate o congelate, miscelate con proteine del latte in polvere e in qualche caso con formaggio fuso e costano meno per via degli ingredienti meno pregiati. Per evitare problemi legali sulle etichette non compare la parola mozzarella, ma solo nomi di fantasia come “pizzetto”, “pizzottelo”, “pizza fast”, “pronto pizza”.
  5. Fare attenzione al rapporto qualità/prezzoUn prodotto biologico e/o Dop costa di più perché prima di andare in commercio viene analizzato ed i costi sono a carico del produttore. Un olio extravergine acquistato al prezzo di tre euro vale tre euro. Un litro di vino acquistato al prezzo di un euro vale un euro.
  6. Non farsi ingannare dai claims in etichettaIl burro light non esiste e l’olio vegetale leggero, fragrante e robusto lo stesso. L’olio a bassa acidità non ha alcun significati da punto di vista organolettico in quanto l’acidità di un olio non è percepibile dai nostri sensi
  7. Conoscere le differenze all’interno della stessa categoria merceologicaAd esempio fra vino da tavola e vino Doc o fra olio di oliva e olio extravergine di oliva
  8. Il termine “Made in Italy” nel settore alimentare non significa che la materia prima è italiana
  9. Evocare una indicazione geografica quando il prodotto non proviene dalla zona dichiarata in etichetta quando non è un comportamento illecito perché il marchio è registrato è quantomeno ingannevole, Trasimeno, Santa Sabina, sono marchi ingannevoli.
  10. Bisogna sempre segnalare le anomalie riscontrate agli organi di controllo
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