Un’autostrada per le olive marocchine (senza carta d’identità)

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Cinquanta miliardi di euro. A tanto ammonterebbe secondo la Coldiretti il fatturato del falso made in Italy alimentare nel mondo. Lo chiamano anche italian sounding, considerando con questa definizione l’insieme di prodotti che per il nome o la confezione richiamano in qualche modo le produzioni agroalimentari del Bel Paese. La notizia è che il Corpo forestale dello Stato ha sequestrato 91mila confezioni di falso Aceto Balsamico di Modena per un valore commerciale di circa mezzo milione di euro. Ma l’operazione “Oro nero” – così l’hanno battezzata gli agenti della Forestale – rischia di apparire come una goccia nel mare del “finto” made in Italy che finisce regolarmente sulle nostre tavole tutti i giorni. Nulla di illecito, intendiamoci: in assenza della tracciabilità che solo l’etichetta d’origine può assicurare vengono importate, trasformate e spacciate per italiane, migliaia di tonnellate di prodotti che nulla hanno a che fare con i nostri campi e le nostre stalle. Che fine hanno fatto, si chiede la Coldiretti, i «60 milioni di cosce di maiale arrivati dall’estero nel 2010? C’è il rischio concreto che vengano “spacciati” dopo la stagionatura come prosciutti made in Italy». E gli «8,6 miliardi di litri di latte che hanno attraversato la frontiera?».  Semplice: «Sono diventati spesso formaggi o mozzarelle “italiane”».
Ma tutto questo potrebbe essere nulla se l’Europa dovesse chiudere le trattative per creare nuove aree di libero scambio fra la Ue e alcuni importanti Paesi extracomunitari. A cominciare dal Marocco che attende a settimane (se non addirittura a giorni) la ratifica dell’accordo bilaterale: via dazi e barriere doganali, così sarà ancora più facile di oggi, per esempio, spacciare le olive raccolte nelle zone costiere attorno a Fez e Rabat per “comunitarie”. Pochi sanno che
lolivo è la più importante coltivazione fruttifera del Marocco con 580mila ettari coltivati, il 55% dellarboricoltura del Paese nordafricano. Le 400mila aziende agricole della filiera producono 50mila tonnellate di olio. Quasi tutte destinate all’export. Poco importa che le olive, in Marocco, vengano lasciate letteralmente ad ammuffire per settimane prima della frangitura. Tanto poi l’olio che si ottiene, profumato come può esserlo la pipì di gatto (l’odore che emana è lo stesso) viene deodorato con sostanze chimiche e messo in commercio. Questi oliacci che già vengono immessi nel circuito alimentare europeo grazie alla disinvoltura di alcune società del settore, arriveranno sulle nostre tavole percorrendo l’autostrada dell’accordo di libero scambio. Tanto nessuno se ne potrà accorgere. Senza l’etichetta d’origine, quella vera, si può cambiare la carta d’identità a qualunque prodotto.
La notizia positiva di oggi (martedì 8 marzo) è che il Parlamento europeo ha dato un colpo di freno all’accordo con il Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) con cui la Commissione stava negoziando il via libera a nuovi contingenti per le esportazioni dal Mercosur verso l’Europa di zucchero, etanolo, carni, frutta e ortaggi.

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