Vogliono mettere la tassa sul cibo-spazzatura, ma l’industria fa educazione alimentare a scuola

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Volevano mettere la tassa sul cibo-spazzatura. Ma dimenticano che nelle nostre scuole medie si tengono lezioni di cultura alimentare organizzate dalla grande industria. «E’ ancora sul tavolo del ministro della Salute Renato Balduzzi», così scriveva l’agenzia Agi meno di tre settimane or sono, «l’ipotesi di introdurre una tassa sul junk food, il cosiddetto cibo spazzatura causa, tra l’altro, dell’aumento dei bambini sovrappeso nel nostro Paese. Lo ha chiarito lo stesso Balduzzi, intervistato da Famiglia Cristiana (a questo link il servizio integrale). Occorre mangiare meno e mangiare meglio», spiegava il ministro: «Intendo aiutare le nuove generazioni a cambiare le proprie abitudini alimentari attraverso tutti gli strumenti a disposizione. Se sarà considerata utile, proporrò una tassa di scopo sul cosiddetto junk food, il cibo spazzatura… Non possiamo stare fermi. E’ uno dei punti che potrebbe qualificare il nuovo Patto per la salute». E proprio il Patto, annunciava Balduzzi, sarà pronto «entro il 30 aprile».
Francamente ho dei grossi dubbi che questa nuova tassa di scopo entri davvero nel decreto in arrivo e destinato a cambiare in parte i meccanismi di cura della persona. Da parte delle strutture pubbliche ma non solo. C’è fra l’altro da dissipare una serie di equivoci su cosa sia davvero il cibo spazzatura. Già perché assieme ad hamburger e patatine, il simbolo universalmente riconosciuto per gli alimenti anti-salutistici, rischiano di finire sulla lista nera pure alcune delle specialità del Made in Italy a tavola che pur non avendo alcuna responsabilità diretta nella tendenza all’obesità delle nuove generazioni, hanno un tenore di grassi molto elevato. Certi salumi, per esempio.
Ma prima di varare il provvedimento blocca-colesterolo i Professori, forse, farebbero meglio a dare un’occhiata a quel che sta succedendo proprio in queste settimane nelle scuole italiane. Per la precisione alla medie. Dove stanno partendo una serie di lezioni in 77mila classi per un milione e 600 mila bambini, curate da Federalimentare, la corazzata italiana del cibo industriale. A onor del vero va detto che Balduzzi ha ereditato la patata bollente dal ministro che l’ha preceduto all’Istruzione, Maria Stella Gelmini, la quale a sua volta ha chiuso una pratica aperta quando ancora da quelle parti stava seduta una certa Letizia Moratti. Sta di fatto che nell’aprile 2011 Federalimentare e Miur hanno siglato un accordo per far partire il programma di formazione «Scuola e cibo, piani di educazione scolastica alimentare». E il programma, in effetti, è partito: a gennaio scorso si sono tenute tre sessioni, una a Milano e due a Roma, destinate a formare gli insegnanti delle scuole medie (ecco il documento dettagliato con la scaletta degli interventi, scritto fra l’altro su carta intestata recante il doppio logo: Federalimentare e Ministero dell’Istruzione, dell’università e della Ricerca).
Visto che fra i candidati alla nuova tassa rischiano di finire hamburger e patatine ma pure merendine e snack vari, senza contare le bibite gassate, che sono alcune delle bandiere della grande industria del cibo, forse una maggiore cautela da parte di tutti sarebbe consigliabile.
Per completezza d’informazione mi sento di precisare alcune cose. Le elenco qui sotto non necessariamente in ordine d’importanza.

  1. Ho cercato di ottenere i testi delle sessioni formative per docenti di gennaio ma senza esito: conservo traccia del carteggio elettronico intercorso con l’agenzia che cura le pubbliche relazioni di Federalimentare. La mia richiesta è scaturita allorché, dalla medesima fonte, mi è arrivata una nota dal titolo esplicativo: «Federalimentare: indagine Ipsos, “no” degli italiani ad una tassa su cibi e bevande».
  2. Non è mia intenzione assegnare la patente di corruttore della salute delle nuove generazioni ad alcuno. Nel grande gioco della concorrenza ciascuno scende in campo con le armi di cui dispone. Nell’arena del business e in quella della comunicazione (che poi spesso coincidono) si combatte una guerra quasi sempre lecita ma senza esclusione di colpi: faccio il giornalista da 30 anni e l’ho capito presto. 
  3. Molte delle persone che hanno parlato a gennaio ai seminari per docenti, le conosco. E si tratta di manager, professori e ricercatori di chiara fama e di cui è impossibile non nutrire la massima stima.
  4. Le polemiche roventi dei mesi scorsi fra i pastai e l’industria delle carni (due componenti fondamentali della corazzata Federalimentare) proprio a proposito della salubrità di taluni cibi consiglierebbero una prudenza ulteriore da parte del governo.

Ecco, la mia analisi finisce qui, anche se vi confesso che sono tormentato tuttora da un’insana curiosità sui contenuti dei «Piani di educazione scolastica alimentare». Ho un figlio che frequenta la terza media e temevo che un giorno, arrivando da scuola, mi dicesse: «Sai papà, tutte le cose che scrivi sui cibi, le etichette e la tracciabilità… Sono delle baggianate». Così non accadrà: quella di Riki non è fra le 77mila classi coinvolte nel progetto «Scuola e cibo».

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