Il bianco del riso Carnaroli si tinge di giallo. Nonostante la varietà in purezza rappresenti oltre il 50% della superficie coltivata e possa essere etichettata come “Classico” in base al decreto del 7 agosto 2018, viene venduta nella stragrande maggioranza dei casi senza alcuna indicazione sulla purezza varietale. Mischiata con i cosiddetti “generici”. Del Carnaroli, al pari della altre importanti varietà di riso italiano – Arborio, Baldo, Roma, S. Andrea, Vialone Nano e Ribe – vengono coltivati anche i similari, sottospecie che assomigliano alla varietà in purezza, anche soltanto per forma e dimensione. E che possono essere etichettate comunque come l’originale, in forza di una vecchia legge del 1958 sulla semplificazione del mercato.

I SIMILARI

Il Carnaroli ha otto similari: Caravaggio, Carnaval, Carnise, Carnise
Precoce, Karnak, Keope, Leonidas e Poseidone. Tutti, dal ’58 in poi, si trovano in vendita etichettati come Carnaroli, anche se sono
un’altra cosa. La scorsa estate il ministro delle Politiche Agricole
Gian Marco Centinaio, rompendo gli indugi che avevano frenato i
suoi predecessori, ha pubblicato il decreto che consente di distinguere
le varietà di riso in purezza dai cloni. Eticchettandole, appunto,
con l’indicazione “Classico”. Ma sui banconi dei supermercati
non se ne trova traccia, se si escludono alcune confezioni di cereale
bianco che riportano a sproposito l’indicazione varietale, come
lo Scotti Oro Classico e il Flora Classico. Un utilizzo improprio di
cui potrebbe anche occuparsi l’Ispettorato centrale repressione
frodi del Ministero.

IL CLASSICO

Strafalcioni a parte, in realtà il Carnaroli puro esiste e si può acquistare,
anche se in quantità decisamente inferiore rispetto al peso delle superfici coltivate. Ma senza l’indicazione Classico, almeno per ora. Ci sono sostanzialmente due canali che lo consentono. Uno è quello del Carnaroli da Carnaroli Pavese, un marchio collettivo della Camera di Commercio di Pavia, a disposizione dei risicoltori che rispettino un rigido disciplinare di
coltivazione con controlli su tutte le componenti. Le verifiche degli
enti di certificazione riguardano la semente, i campi, il risone prodotto,
le pilerie dove viene lavorato e il prodotto finito. Il sistema di  certificazione è praticamente coincidente con quello richiesto per l’indicazione Classico e quindi stanno per arrivare sul mercato confezioni con la doppia etichettatura.

Carnaroli e similari in Lombardia

Per ora il Carnaroli da Carnaroli Pavese non è presente nella grande
distribuzione e si può acquistare soltanto direttamente dai produttori
l’elenco dei quali è pubblicato sul sito web Chicchidellemeraviglie.it. Alcuni fra gli oltre 30 risicoltori pavesi che hanno aderito al
programma della camera di commerci, rispettano anche al disciplinare
del Classico e quindi avranno la doppia certificazione con la duplice
indicazione: Carnaroli da Carnaroli Pavese e Classico.

PROVA GENETICA

Nella grande distribuzione si trova invece il Carnaroli Dna controllato
che garantisce, attraverso esami fatti nei laboratori del Parco Tecnologico di Lodi, la purezza del prodotto. Sulle 16 confezioni che ho individuato sui banconi dei supermercati di Voghera soltanto 3 adottano la prova genetica per certificare la purezza del cereale. E nessuna dichiara “Carnaroli Classico” in etichetta. Resta il fatto che, come si vede
chiaramente dal grafico a torta pubblicato in questo post, assieme
alle tabelle, il Carnaroli vero rappresenta più della metà della
superficie coltivata. Ma il suo peso è marginale sugli scaffali della
Gdo. Un’assenza che molto probabilmente riflette la scelta dell’industria
di trasformazione. Per evitare di riconoscere un prezzo maggiore
al Carnaroli vero, le grandi riserie lo mischiano ai similari. Non a
caso sulle borse merci, nelle contrattazioni, non si distingue la varietà
in purezza dai cloni. Il prezzo è unico. Peccato per i consumatori che il
riso selezionato nel 1945 dall’agronomo Angelo De Vecchi e dal suo
camparo Carnaroli abbia caratteristiche uniche, quasi totalmente assenti
nei similari.

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