Basta attaccare un bottone e la giacca indiana diventa Made in Italy

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L’Europa sta per confezionare l’ennesima bufala sull’etichetta d’origine. Questa volta non si tratta di cibi ma di tessuti. Il risultato però  non cambia. La commissione Mercato interno e Protezione dei consumatori del Parlamento di Strasburgo ha varato una disposizione che renderà vincolante indicare in etichetta la provenienza dei tessuti e dei capi d’abbigliamento se prodotti in un Paese terzo. In realtà, secondo gli europarlamentari,  per considerare “europeo” un prodotto sarà sufficiente che abbia subito due fasi della lavorazione su queste quattro: filatura, tessitura, rifinitura o ideazione. Dunque basta che un vestito sia stato disegnato e rifinito da noi per essere considerato italiano. Proprio quello contro cui si sono battuti per decenni i sostenitori del vero made in Italy tessile. Sarà sufficiente per esempio inviare in India il disegno di un cappotto e limitarsi ad attaccargli i bottoni una volta giunto da noi per poterlo etichettare “Made in Italy”. Già immagino come si fregheranno le mani i grandi importatori che fanno arrivare da Cina e India  navi intere di pantaloni, camicette, giacche e spolverini, magliette, completini. A questo punto faccio una proposta: perché non consentire di attaccare l’etichetta italiana direttamente nel Paese terzo? O magari sulla nave, durante il viaggio verso uno dei nostri porti? Così si risparmierebbe tempo. E si sa, il tempo è denaro.

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