Falso extravergine italiano, sotto accusa i giornalisti che ne parlano. E non i taroccatori

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Le 7mila tonnellate di extravergine tarocco scoperte dalla Forestale di Bari (qui il comunicato sull’operazione) in alcuni oleifici con sede a Fasano, Grumo Appula e Monopoli, hanno innescato una polemica da brividi. A salire sul banco degli imputati rischiano di essere i giornalisti e non i taroccatori. A distanza di poche ore dal maxisequestro, avvenuto nei primissimi giorni di dicembre, su internet è partita una campagna per screditare la scoperta del Corpo Forestale dello Stato. Alcune delle aziende coinvolte, utilizzando i social network e in particolare Facebook, arrivano a mettere in dubbio l’attendibilità dei test del Dna utilizzati per scoprire la vera origine dell’olio bloccato nelle cisterne. «Ho certezza che non abbiano attendibilità quanto meno giuridica», scriveva ieri la titolare di uno degli oleifici coinvolti nell’inchiesta, quando invece i test messi a punto dall’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del Cnr di Perugia sono praticamente a prova di errore.

Ma se è comprensibile che le imprese coinvolte nell’indagine si difendano (fino alla sentenza del tribunale è d’obbligo ascoltare e dar voce a tutti senza emettere giudizi affrettati), trovo inaccettabile che la responsabilità per il grave danno recato al made in Italy da questo ennesimo scandalo venga ribaltata sui giornalisti. Scrive Luigi Caricato sul portale Olioofficina.it:

Ormai non manca giorno senza accumulare notizie allarmanti. Il clamore mediatico utilizzato come arma impropria è l’ultima trovata per sputtanare il buon nome dell’Italia olearia. Il tutto avviene con la complicità delle istituzioni, in balìa ormai della potente lobby di Coldiretti. Cosa dire? C’è una Italia che ama farsi del male da sola, offrendo una grossa opportunità ad altri paesi concorrenti. Di questo passo crollerà il mito dell’olio italiano e saremo destinati a essere pura appendice

Le notizie riportate dai media su quella che potrebbe rivelarsi una delle più grandi truffe di sempre a danno dei consumatori sarebbero, secondo Caricato, «armi improprie» per «sputtanare il buon nome dell’Italia». Ma il fondatore di Oliofficina.it si spinge ben oltre: «È l’ennesino scandalo dell’olio», scrive, «l’ennesima notizia trasmessa al fine di destabilizzare il comparto olio di oliva».

Ma se i giornalisti (come il sottoscritto) sono gli strumenti di un complotto anti italiano, non manca neppure il mandante: la Coldiretti, definita come una «potente lobby», impegnata a prendere d’assalto le istituzioni per piegarle al proprio volere.

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La Forestale perquisisce un oleificio coinvolto nell’inchiesta

L’organizzazione guidata da Roberto Moncalvo non ha certo bisogno del sottoscritto per difendersi. Mi limito a segnalare a Caricato che i sindacati (e Coldiretti è il più rappresentativo del settore agricolo con oltre mezzo milione di tesserati diretti) difendono giustamente gli interessi della categoria che rappresentano. Nel caso dell’olio extravergine, come in molti altri, Coldiretti si batte per la trasparenza dell’origine. Che incidentalmente è quel che chiede il 90% dei consumatori. Nel settore alimentare le lobby ci sono, eccome. Ma non bisogna cercarle a Palazzo Rospigliosi.

Infine, per ristabilire la realtà che queste visioni complottiste rischiano di oscurare, mi limito a elencare i fatti rilevanti dell’inchiesta tanto criticata da Caricato & compagni.

  1. La presunta frode su cui indagano gli inquirenti riguarda 7mila tonnellate di olio extravergine d’oliva, pronto a essere messo sul mercato come 100% italiano.
  2. Coinvolte nell’inchiesta sono una decina di aziende baresi: per ora sul registro degli indagati sono iscritte sei persone «indagate per i reati di frode in commercio e contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari», spiega il Corpo Forestale. 
  3. Le indagini sono condotte dalla Forestale, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Bari.
  4. Le partite di olio posto sotto sequestro sono state analizzate con il test del Dna.
  5. I risultati ottenuti analizzando il patrimonio genetico presente nell’olio e risalendo alle cultivar da cui provengono le olive, sono stati incrociati con quelli sulla tracciabilità ricavati dai registri informatici.
  6. I dati raccolti dagli inquirenti consentono loro di affermare che «migliaia di tonnellate di olio ottenuto mediante la miscelazione di oli presumibilmente extravergini provenienti anche da Paesi extra Unione europea come Siria, Turchia, Marocco e Tunisia venivano venduti sul mercato nazionale e internazionale (statunitense e giapponese) con la dicitura facoltativa 100% italiano, configurando così una frode in danno al Made in Italy».
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