Gli Ogm, il Pecorino tarocco di Stato e i 300mila posti rubati dal finto Made in Italy

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Ieri è stato il Made in Italy Day: A Roma, in Piazza Montecitorio, massiccia manifestazione organizzata dalla Coldiretti contro l’Imu sui fabbricati agricoli e in difesa del Made in Italy. Con una vittoria importante: il presidente Sergio Marini ha reso noto un documento con cui il ministro dello Sviluppo Corrado Passera invita la finanziaria pubblica Simest a uscire dal capitale di Lactitalia, società aperta in Romania dai fratelli Pinna per produrre colà Pecorino italiano. La cosa è nota da tempo: io stesso ho scritto più di una volta sul formaggio «tarocco» finanziato da una società, la Simest, controllata al 67% dal Ministero dello Sviluppo (ecco perché è intervenuto Passera). Società che è pure socio di capitale di Lactitalia. Insomma, un pasticciaccio che tuttavia non arriva per caso. Sull’italian sounding (le imitazioni dei nostri prodotti, chiamate con nomi che per assonanza ricordino le specialità italiane) è nota la posizione della Federalimentare, la corazzata dell’industria della tavola. Alla fine male non ci fa: «L’Italian sounding dà fastidio, ma dà anche una mano perché abitua il consumatore di culture lontane dalle nostre al gusto dei prodotti italiani. Poi arriviamo noi con i top di gamma…». Peccato che così non riusciremo mai a recuperare anche solo in piccola parte i 70 miliardi l’anno di Made in Italy falsificato e creare i 300mila posti di lavoro che vale. Ma non è un caso se la Confindustria del cibo non si scalda troppo di fronte al caso Simest-Lactitalia: non importa dove tu produca, l’importante è che siano italiani la ricetta e le tecnologie. Questa è la posizione che da tempo propugna la confederazione guidata da Filippo Ferrua. E infatti ora si tratterà di capire se l’altolà imposto da Passera alla Simest si possa considerare un mero incidente di percorso, oppure se l’industria sarà costretta a cambiare approccio.
Sempre ieri, venerdì 16 marzo, è arrivata – inattesa – l’apertura del ministro dell’Ambiente Corrado Clini sugli Ogm con una spiegazione che dimostra quanto egli  sia lontano dall’agricoltura e dalle attese degli italiani: se c’è un modo per salvare le produzioni del Made in Italy nei campi, questo ha detto il titolare dell’Ambiente,  è proprio l’ingegneria genetica. Clini finge di ignorare però che due italiani su tre non vogliono gli Ogm e che – soprattutto – le specificità che fanno del nostro agroalimentare uno successo mondiale, sono legate proprio all’unicità della filiera. A partire dalla materie prime che debbono essere riconoscibili come assolutamente naturali e caratteristiche delle nostre lande. Senza contare che con le le colture Ogm (pensiamo al mais) i coltivatori possono competere solo sul prezzo. E ve l’immaginate i nostri cereali in concorrenza con quelli prodotti nei Paesi a basso costo della manodopera e bassa imposizione fiscale? Gli Ogm stanno al Made in Italy come i pesticidi stanno ai cibi «bio». Una cosa esclude l’altra. Non capirlo, o peggio far finta di don averlo compreso, è doppiamente grave. Poco importa se i vegetali transgenici siano  pericolosi oppure no. Non è questo il punto: un pane fatto a partire da frumento Ogm quale mercato potrebbe avere? E che vantaggio competitivo riuscirebbe a mettere in campo rispetto ai concorrenti per farsi preferire dai consumatori? A meno di non nascondere l’origine in etichetta: che è il sogno della grande industria e delle lobby al soldo delle multinazionali che premono sull’adozione degli organismi geneticamente modificati. Buongiorno trasparenza!

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