Ma quanto sono reticenti le etichette del prosciutto

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Su 10 prosciutti crudi poco più di 3 sono italiani. Così i nostri produttori possono beneficiare soltanto in parte dell’aumento del 13% nelle esportazioni di salumi – sia in valore sia in volume – messo a segno nel 2010. D’altronde anche volendo distinguere i prosciutti Made in Italy da quelli che non lo sono il consumatore incontra un vero problema: sui prodotti confezionati in vaschetta, per esempio, non compare mai (ripeto mai!) l’indicazione d’origine. Per quel che si può capire leggendo e rileggendo le etichette del salume che ha reso famosa l’Italia nel mondo, la provenienza della materia prima, le cosce di maiale, resta sconosciuta. Perfino i prosciutti di Parma Dop che in base al disciplinare di produzione devono provenire da capi «nati, allevati e macellati in Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo e Lazio» non si dichiarano esplicitamente italiani. Eppure non c’è motivo di pensare che non lo siano.
Come sempre quando si tratta di capire cosa si trova in commercio ho vestito i panni del «Casalingo di Voghera», l’archetipo di tutti i consumatori. Questa volta ho battuto quattro punti vendita di altrettante catene della grande distribuzione: Iper Montebello (a Montebello della Battaglia), Esselunga, Coop e Gulliver (a Voghera). Ho fatto la spesa di prosciutto crudo, acquistando alcune vaschette di preaffettato. Non volevo portarmi a casa l’intero assortimento dei quattro supermercati così ho scelto in base a un criterio: nel carrello ho messo il prodotto più caro, quello più economico e la vaschetta con il prezzo più vicino alla media. Escludendo per scelta i prodotti della “marca privata”, quelli cioè etichettati con il marchio della catena di supermercati.
Il risultato lo vedete nella tabella che pubblico qui sotto:  le vaschette sono 10 e non 12 perché due marche erano comuni a più di un negozio. Come si può vedere scorrendo l’elenco, su 10 tipi di vaschette, 5 sono Dop le altre no.
Colpisce l’assenza, mi sento di ripeterlo, pressoché totale di scritte o indicazioni tali da consentire a qualunque consumatore di capire da dove provenga l’affettato. Prevengo l’obiezione sulle Dop: so bene che in base ai disciplinari le materie prime (in questo caso le cosce di maiale) devono provenire solo e soltanto da capi nati, cresciuti e macellati in Italia. Ma siamo certi che i consumatori ne siano consapevoli? Non è per sfiducia nei confronti dell’italiano medio – in cui peraltro io stesso mi riconosco – ma sono pronto a scommetere che facendo un’ indagine demoscopica su Doc, Dop e via siglando, scopriremmo che sono pochissimi i consumatori che ne conoscono fino in fondo il significato.  E poi, cosa costa scriverlo? Se non si identifica come italiano al 100 per cento un prodotto che deve esserlo per legge, figuariamoci il resto. A meno che…
A meno che non ci sia un motivo preciso per rendere reticenti pure le etichette che potrebbero raccontarci una storia di eccellenza alimentare Made in Italy. Ma questa è un’altra storia che proverò a raccontare su Etichettopoli.com nelle prossime settimane.
Vi segnalo il caso del prosciutto «Fresche Tradizioni», sicuramente il più reticente di tutti visto che quanto al confezionamento indica: Prodotto da: Strada per Parma 30, Pilastro di Langhirano (Pr). Confezionato nello stabilimento di Collebeato (Bs)». So che per legge è possibile scrivere così. Anche in questo caso, però, mi domando: costava tanto indiccare il nome o la ragione sociale del produttore?
Infine una notazione: tutti i prosciutti preaffettati che non siano Dop, hanno fra gli intredienti un conservante, il nitrato di potassio, che compare anche  con la sua sigla, E252.

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