Bracalente (Nerogiardini) annuncia le scarpe con l’etichetta parlante

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Enrico Bracalente

In attesa di capire cosa accadrà a olio, passata di pomodori, miele, carne e latte fresco col nuovo Decreto  del ministro Francesco Saverio Romano che introduce le “etichettone”, registriamo una novità in tutt’altro settore: quello della moda. Enrico Bracalente, l’imprenditore marchigiano che ha fatto del Made in Italy una bandiera, ha annunciato che sta pensando a un progetto per introdurre la tracciabilità delle calzature. «L’obiettivo futuro è quello della tracciabilità. Una certificazione autoprodotta», spiega Bracalente alla collega Giulia Cazzaniga in un’intervista pubblicata oggi sull’edizione cartacea di Libero,  «che testimoni quali passaggi abbia fatto il nostro prodotto e soprattutto dove». Già, il «dove» è importantissimo. Se una scarpa che si dichiara italiana viene fatta in Cina oppure in Vietnam (casi frequentissimi) in realtà tale non è. Ma non esiste alcuna norma che obblighi le imprese calzaturiere italiane a dichiarare dove producano. Così accade di pagare svariate centinaia di euro per un paio di scarpe che alla produzione ne costano meno di 10.
Ora Bracalente annuncia che introdurrà l’etichetta d’origine su base volontaria. Devo dire che non mi meraviglio: è la naturale evoluzione della decisione di non delocalizzare nulla, negli anni in cui chi non si spostava a produrre in Estremo Oriente era ritenuto un pazzo o un visionario. I numeri danno ragione all’imprenditore marchigiano. Il fatturato della sua Nerogiardini è passato dai 65 milioni del 2005 ai 213 dell’anno scorso. Chissà come la prenderanno i suoi molti concorrenti italiani che spesso di Made in Italy vendono soltanto le scatole destinate a contenere scarpe e stivali. E talvolta neppure quelle.

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