Cari pastai, difendere il grano italiano non è una battaglia ideologica. È un diritto

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Cari pastai, sbagliate. Difendere la possibilità di mangiare pasta italiana fatta con grano italiano non è una battaglia ideologica. È un diritto. Da consumatore mi aspetto di capire cosa finisce sulla mia tavola. Si tratti di pane, pasta, riso, carne, salumi, condimenti, verdura o frutta. E sono in buona compagnia. Dalla consultazione pubblica promossa lo scorso anno dal Ministero delle Politiche Agricole (ecco i grafici riassuntivi che ho pubblicato all’epoca), è emerso chiaramente che il l’80% degli italiani  si aspetta di sapere con quale materia prima sono fatti gli spaghetti destinati a finire sulla propria tavola. E gli scandali che hanno travolto negli ultimi mesi l’olio e il pomodoro sono la conferma che la richiesta di trasparenza è sensatissima oltre che giustificata. 

Ricevo dall’associazione dei pastai italiani, un comunicato con un titolo che è tutto un programma. «Sit-in Coldiretti, Aidepi: no a battaglie ideologiche sull’origine del grano. Le materie prime utilizzate per produrre la pasta sono sicure e tracciate».  Leggo nella nota:

Sorprende che si insinuino dubbi sulla qualità e sulla tracciabilità del grano in arrivo al porto di Bari per sostenere battaglie ideologiche sull’indicazione in etichetta dell’origine delle materie prime, mettendo in dubbio in un sol colpo il sistema di controllo europeo e nazionale sulle merci importate, la trasparenza delle aziende pastaie italiane che operano anche da centinaia di anni sul territorio e la qualità della pasta che ogni giorno portiamo sulle tavole di tutto il mondo. 

Sull’efficienza del sistema dei controlli i pastai devono concedere che qualche dubbio possa anche venire dopo i maxi sequestri in serie che soltanto negli ultimi tre mesi hanno portato alla scoperta in Puglia, di quasi 10mila tonnellate di falso olio extravergine italiano pronto per essere immesso sul mercato di consumo. Ma quanto extravergine tarocco è già finito nei nostri carrelli? Il sospetto è fondato e i produttori si rassegnino ad avere a che fare con consumatori diffidenti.

Secondo la Coldiretti pugliese che ha organizzato una manifestazione al porto di Bari, da luglio 2015 a gennaio di quest’anno sono arrivate sulle banchine dello scalo meridionale quasi 900mila tonnellate di grano d’importazione, proveniente fra l’altro da Canada, Turchia, Argentina e Marocco. Un quantitativo tale da far crollare i prezzi del frumento locale, calati del 25% nel giro di poche settimane.  L’Aidepi contesta questa denuncia:

Si insiste spesso nel voler dimenticare che la produzione di grano italiano non è sufficiente a soddisfare i volumi di pasta prodotti in Italia o i requisiti qualitativi richiesti per produrre la pasta, essendo noto che dobbiamo approvvigionarci all’estero nella misura del 30% – 40%  a seconda delle annate. Non è infatti l’origine del grano a determinare la qualità del prodotto o il successo di un’azienda, ma il saper fare dell’azienda stessa. L’importazione di grano ha infatti una radice storica: per ottenere un prodotto di qualità, fin dalla seconda metà dell’800 utilizzavamo i migliori grani del mondo e miscelavamo semole diverse. Come il Taganrog che prende il nome dal porto del Mar Nero in cui veniva imbarcato.

In realtà se c’è una posizione ideologica è proprio quella dei pastai. Perché impedire ai consumatori di capire con quale materia prima sono prodotti spaghetti, penne e tortiglioni? E per qual motivo gli agricoltori pugliesi e italiani in genere dovrebbero rinunciare a tutelare le loro produzioni? Chi coltiva il frumento ha il diritto di chiedere che venga valorizzato il prodotto italiano. Se dovessimo abbandonare la difesa di quel che rimane del nostro settore primario, avremmo sulla coscienza milioni di famiglie, private di ogni reddito. Le società moderne sono il frutto del bilanciamento di interessi diversi e spesso contrapposti. Impedire a una categoria di difenderli è, questa sì, una posizione ideologica.

Da consumatore, poi, m’incazzo quando qualcuno viene a dirmi cosa devo sapere  – e cosa al contrario è meglio che ignori –  sui cibi che metto ogni giorno sulla mia tavola. C’è già l’Unione europea che con quella bischerata dell’origine non preferenziale favorisce la falsificazione sistematica del made in Italy. Dalle industrie italiane mi aspetto il massimo della trasparenza possibile. Proprio a cominciare dall’origine delle materie prime impiegate nella preparazione degli alimenti. Loro comincino a scriverla sull’etichetta. Poi decido io cosa acquistare.

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Il sito web della pasta Voiello

Il problema che affligge le nostre eccellenze alimentari sta proprio qui: la difficoltà di valorizzarle sottolineandone l’unicità. Ma se i consumatori non possono distinguere i cibi 100% italiani, come fanno a sceglierli? E di riflesso: come pensate, cari pastai, che le quotazioni delle materie prime nazionali non precipitino, allineandosi a quelle degli ingredienti d’importazione, spesso provenienti da Paesi dove i costi sono bassi in virtù di imponenti fenomeni di sfruttamento della manodopera? Più che di distorsione della concorrenza parlerei di dumping sociale: si importano prodotti agricoli le cui quotazioni si trovano al di sotto dei nostri costi di produzione. I coltivatori che manifestano al porto di Bari difendono il loro diritto di esistere come categoria produttiva! O si pretende che falliscano in silenzio?

Ma forse è proprio così. In un Paese in cui chi non urla e non protesta ha torto a prescindere, i cerealicoltori come gli allevatori dovrebbero coltivare la virtù del silenzio. Soccombere senza aprir bocca. Muti. Mentre ai consumatori si pretende di imporre cosa debbano chiedere e cosa non chiedere. Cosa hanno diritto di conoscere e cosa no. Cosa possono aspettarsi di trovare sull’etichetta e cosa è meglio che non sappiano.

Certo  il caso dell’olio di palma ha fatto scattare più di un campanello d’allarme. Da quando (dicembre 2014) è obbligatorio dichiararne la presenza nelle preparazioni alimentari, molti consumatori hanno smesso di acquistare i prodotti che lo contengono. E alcuni produttori, a cominciare da Barilla, cominciano a proporsi sul mercato con dolci privi dell’olio tropicale. I pastai probabilmente temono che possa succedere lo stesso con il grano d’importazione. Possibile. Ma proprio il gruppo di  Parma che con Paolo Barilla guida l’Aidepi, ha dimostrato che anche le grandi marche possono realizzare la pasta 100% italiana. È il caso della Voiello, marchio di proprietà dei pastai emiliani, che utilizza soltanto farina ottenuta dal grano aureo, una varietà coltivata in Sicilia grazie a un accordo di filiera sottoscritto da Barilla con gli agricoltori dell’Isola.

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