Dazi azzerati dall’Europa, il riso italiano sparisce

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Il riso italiano sparisce. Grazie Europa! L’azzeramento dei dazi all’import del cereale bianco, deciso unilateralmente dall’Unione europea nel 2001, rischia di cancellare un’altra coltura storica delle nostre terre. Soltanto dalla Cambogia e dalla Birmania, nel primo trimestre di quest’anno, le importazioni hanno fatto un balzo del 754%. Ma è  l’inizio dell’invasione perché altri produttori a bassissimo costo  stanno aprendo nuovi canali commerciali con il Vecchio Continente. È solo una questione di tempo, poco, e il riso made in Italy scomparirà dalle nostre tavole. Nella campagna attualmente in corso la superficie coltivata a riso nel nostro Paese si è già ridotta del 21% rispetto al 2013.  L’Italia è il primo produttore europeo di riso: lo coltiviamo  su un territorio di 316mila ettari e la filiera dà opportunità di lavoro a 10mila famiglie tra dipendenti ed imprenditori.  Come l’Alitalia, di cui i giornali parlano però quasi  tutti i giorni da diversi anni a questa parte.

Ha già chiuso un’azienda su 5

Finora, nella filiera del cereale bianco  abbiamo già perso un’azienda su 5. Ma c’è anche una dimensione del fenomeno che riguarda direttamente i consumatori. Da gennaio a oggi il Sistema di allerta rapido europeo  ha effettuato quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica: dai test di laboratorio si è scoperto che contenevano pesticidi non autorizzati potenzialmente pericolosi per la salute.

Il riso Indica lavorato proveniente dalla Cambogia  arriva sui nostri mercati  a un prezzo inferiore ai 200 euro a tonnellata,  circa la metà di quanto costa produrlo in Italia, rispettando le norme su salute,  sicurezza alimentare e ambientale e quelle sui diritti dei lavoratori. A queste condizioni chi avesse piantato questa varietà potrebbe decidere anche di non raccoglierlo. Com’è già accaduto per pere, mele e pesche alla fine del decennio scorso.  Purtroppo i consumatori rischiano di portare in tavola il riso importato senza nemmeno accorgersene. Non è obbligatorio, infatti, indicarne la provenienza e sotto l’ombrello rassicurate di marchi storici italiani, si può vendere di tutto.

La mobilitazione Coldiretti

Dunque il rischio che dai nostri campi sparisca un’altra coltura storica è concreto e dannatamente attuale. E ha fatto bene la Coldiretti a portare in piazza risicoltori e mondine nelle grandi città del Nord, a cominciare da Milano. Ecco alcune testimonianze raccolte fra chi è sceso in piazza per difendere il proprio futuro e quello della nostra agricoltura.

Antonio, 74 anni, di Senna Lodigiana (Lodi): «Mi hanno tolto la voglia di lavorare.  L’anno prossimo dove posso metterò la soia, con il riso non c’è più niente da fare. Il diserbo mi costa più di quanto poi riesco ad incassare dalla vendita. È impossibile stare in piedi così.  Nei magazzini ho il riso già venduto, ma non passano a ritirarlo e non mi pagano».

Stefano, 29 anni, di Certosa (Pavia):  «Andare avanti così è impossibile.  Chi produce riso per l’export non può competere con i bassi costi produttivi dei Paesi asiatici. Così molti hanno deciso di cambiare, puntando sulle varietà da interno, ma ormai il mercato è saturo e i prezzi crollano. Io non voglio rinunciare al mio Carnaroli, ma penso che queste varietà tipiche delle nostre terre dovrebbero essere  tutelate, magari con un marchio di garanzia e con l’etichettatura d’origine».

Fabio, 44, di Gaggiano (Milano): «Ormai produciamo in perdita.  Con quello che ci viene pagato il riso non riusciamo più a coprire i costi di acqua, energia, gasolio, fertilizzanti. Se le aziende sono costrette a chiudere, che ne sarà del riso italiano?».

Il 40% del cereale bianco si coltiva in Lombardia

La Lombardia rappresenta circa il 40% dei 316mila ettari coltivati a riso in Italia. Le zone dove la coltivazione è più diffusa sono Pavia, che è la prima provincia risicola d’Italia, Milano e Lodi. Nel 2012 la produzione raccolta di riso nell’intero territorio regionale è stata di 670mila tonnellate, ma la crisi sta fiaccando sempre di più gli agricoltori: dal 2010, infatti, hanno chiuso i battenti quasi 360 aziende con una perdita di 20mila ettari di risaie. A soffrire di più è stato il Lodigiano dove le superfici si sono praticamente dimezzate, da 2.248,92 a 1.088,96 ettari. Nel Milanese il calo ha superato il 22% (da 14.865,81 a 11.529,26), a Mantova si è scesi da 1.529,41 a 904,5 ettari (-40,9%), mentre a Pavia si sono persi quasi 15mila ettari passando da 88.539,18 a 73.870,1, con un calo del 16,6%.

Un dossier ai prefetti

Torino, in Piazza Castello, è stata ricostruita per la prima volta una vera e propria risaia con degustazione di insalata di riso alla piemontese, mentre  a Venezia i risicoltori, insieme alle mondine in barca, hanno attraversato il Canal Grande per sbarcare a palazzo Balbi. A Milano, in via Melchiorre Gioia, agricoltori e mondine hanno distribuito pacchetti di riso e offerto una degustazione di risotto allo zafferano. Infine, a Bologna,  una nutrita delegazione si è recata nella sede della Regione mentre i produttori di riso della Coldiretti Sardegna hanno incontrato il presidente della giunta regionale. Ai prefetti di queste città la confederazione guidata da Roberto Moncalvo ha consegnato un dossier con gli interventi da mettere in campo con urgenza per salvare il riso italiano. Tornerò presto a parlare del cereale bianco, proprio a partire da questo documento.

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