Altroché lobbisti: contro le etichette a semaforo si è mobilitata tutta la filiera agrolimentare

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Giusta la scelta del ministro Martina che ha portato a Bruxelles i rappresentanti del made in Italy a tavola

Al Consiglio Agricoltura di lunedì 14 marzo 2016, a Bruxelles, si è parlato della crisi che ha colpito i settori trainanti dell’agroalimentare europeo: l’ortofrutta, la suinicoltura, il latte. I prezzi all’origine sono scesi paurosamente, spesso al di sotto dei costi di produzione. Col risultato che agricoltori e allevatori si trovano a vendere in perdita i loro prodotti. Una situazione insostenibile, soprattutto per l’Italia che punta sull’eccellenza delle proprie produzioni.

Il vertice europeo è stato l’occasione per presentare uno studio realizzato dalla Nomisma sull’impatto per il made in Italy a tavola delle etichette a semaforo introdotte dalla Gran Bretagna. Un sistema che utilizza il meccanismo del semaforo: verde, giallo e rosso. In una scala in cui il primo colore rappresenta una promozione e l’ultimo una sostanziale bocciatura. Il meccanismo è semplice quanto perverso per le specialità alimentari italiane. Formaggi ad alto tenore  di grassi, come la ricotta, il Parmigiano o il Gorgonzola vengono bocciati regolarmente, beccandosi un rosso pieno.  Disco verde, invece, per i cibi «plastificati», in cui il mondo anglosassone eccelle. Formaggi dietetici, magari insaporiti con additivi poco salubri, bevande povere di zucchero ma coloratissime, salumi quasi senza sale ma provenienti chissà da dove: con la scusa di difendere la salute dei consumatori, Londra ha inventato un sistema di etichettatura destinato a identificare come «poco salutari» praticamente tutti i campioni del made in Italy a tavola.

Martina Scordamaglia Moncalvo
Martina, Scordamaglia e Moncalvo

I risultati di questo meccanismo diabolico si possono riassumere in tre dati significativi, documentati da Nomisma. In un anno di applicazione le vendite di Parmigiano Reggiano sono calate in Gran Bretagna dell’11%, quelle del prosciutto di Parma del 14%, mentre il Brie francese ha perso l’8%.

I numeri sono stati presentati a Bruxelles dal ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina, accompagnato dai massimi rappresentanti della filiera agroalimentare italiana. C’erano, fra gli altri, il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, e il numero uno di Federalimentare, Pio Scordamaglia. Ma erano rappresentate anche Confagricoltura, Cia, Confcooperative, Unionzucchero, Assolatte, Assica (industria delle carni), Caobisco (cioccolato e prodotti dolciari). Insomma, tutti i big del settore. Una volta tanto assieme e tutti d’accordo nel difendere gli interessi dell’Italia.

Trovo assolutamente fuori luogo l’indignazione di alcuni colleghi, secondo i quali Martina si è fatto «sostituire nel suo ruolo e in quel luogo (il Palazzo Justus Lipsius, sede del Consiglio della Ue, ndA) dai rappresentanti di gruppi di interesse», come spiega a Lettera43.it Lorenzo Consoli, corrispondente da Bruxelles dell’agenzia Aska ed ex presidente della stampa internazionale nella capitale d’Europa. «Lobbisti», rincara la collega Antonietta Demurtas, «che non avrebbero neanche dovuto aver accesso alla sala stampa del Consiglio».

Onestamente ignoro se il rituale europeo escluda davvero la presenza di esponenti del mondo produttivo in quelle stanze. In cui, per altro, i veri lobbisti tedeschi compiono un’azione infaticabile per pilotare con successo le decisioni del Consiglio, l’organismo composto dai capi di Stato e di governo dei ventotto, cui spetta l’ultima parola su leggi e regolamenti nella Ue. Sarà anche una scelta irrituale, quella di dar voce ai rappresentanti della categorie produttive che coincidono con l’intero made in italy a tavola. Ma per una volta è successo quel che tutti chiediamo da decenni: nelle stanze del potere comunitario si sono trovati a difendere gli interessi del nostro Paese i protagonisti della filiera agroalimentare tricolore. 

Con Martina, così come coi suoi predecessori, non sono mai stato tenero. Ma questa volta mi sento di difendere una scelta che può riportare al centro del dibattito europeo l’economia reale, la sopravvivenza delle nostre produzioni agricole e del lavoro che alimentano. In barba ai giochi di potere – ispirati dai Paesi del blocco nordeuropeo – che finora hanno avuto partita vinta: dal fiscal compact alle disposizioni sulle banche, fino alle etichette reticenti che piacciono tanto all’industria dell’anonimato e ai taroccatori.

Chissenefrega se il protocollo non prevede la presenza a Palazzo Justus Lipsius del mondo produttivo! L’alternativa è che prima o poi ne prendano possesso con gli spandiletame gli agricoltori giustamente inferociti. Allora sì che i cultori del galateo politico europeo avranno motivo per arricciare il naso.

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