Ceci, fagioli e lenticchie: la dieta mediterranea è senza carta d’identità

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Di recente l’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, ha riconosciuto la dieta mediterranea come “patrimonio immateriale” dell’umanità. Difficile che questo faccia bene in qualche modo all’Italia. Non ci è stata assegnata infatti alcuna “primogenitura” sulla dieta in verità messa assieme dal nutrizionista americano Ancel Keys, sbarcato a Salerno verso la fine della Seconda Guerra Mondiale e rimasto a lungo nel Cilento. Mentre la cucina francese otteneva un riconoscimento (sempre dall’Unesco) in beata solitudine, noi dobbiamo accontentarci della coabitazione con Spagna, Grecia e perfino Marocco.
E poi, a ben guardare, questo “condominio” di sapori che ci tocca di condividere con altri Paesi che si affacciano sull’ex Mare Nostrum, è molto meno made in Italy di quel che si possa pensare. Come ha recentemente scritto l’amico e collega Carlo Cambi, penna sopraffina del giornalismo italiano, non soltanto di quello enogastronomico: «Si sa che gli ingredienti della Dieta sono: formaggio, verdura e pomodoro in particolare, pesce, olio di oliva, carboidrati, vino. Bene le cose in Italia stanno così: il grano per la pasta made in Italy copre appena il 10% del fabbisogno, siamo dipendenti dall’estero per metà dell’olio di oliva che consumiamo, importiamo circa il 60% del pesce, i nostri pomodori li buttiamo via e compriamo quelli cinesi, le fragole ci arrivano dal Marocco, così gli agrumi».
Di passate e sughi di pomodoro, così come dell’olio extravergine mi sono già occupato con altrettante prove-etichetta. E i legumi? Sono o non sono un elemento fondamentale della dieta mediterranea?
Ritenuti “la carne dei poveri” per il loro prezzo basso e il discreto contenuto di proteine, ceci, fagioli, piselli e lenticchie da ove arrivano? Sono o non sono italiani quelli che mettiamo in tavola?
Bella domanda… Di quelle che meritano una prova sul campo. Così, ancora una volta, ho indossato i panni del Casalingo di Voghera e via di corsa all’Iper di Montebello. Il tempio della spesa a due passi dal capoluogo mancato dell’Oltrepò pavese.
Vista la vastità della categoria merceologica di cui mi sono occupato questa volta ho deciso di limitare l’esame ai legumi in scatola e comunque alle marche più diffuse.
Il risultato lo vedete nella tabella che pubblico qui sotto: trane poche eccezioni, in sostanza Valfrutta, noto marchio di Conserve Italia, la corazzata della cooperazione emiliana, il resto sono tutti bollini rossi: nessuna origine dichiarata in etichetta. E comunque anche i piselli Valfrutta sono privi dell’indicazione d’origine sulla confezione.
In verità pure Valis, un marchio dell’Iper, dichiara: “prodotto italiano” (non per i ceci, però), ma non è del tutto chiaro se si tratti della materia prima (fagioli, lenticchie e piselli) oppure della ricetta. Un equivoco che accompagna in verità tutta la dieta mediterranea. 
Siccome alcuni frequentatori del blog si sono lamentati per il corpo troppo piccolo delle tabelle, ricordo a tutti che basta cliccarvi sopra per aprirle in una nuova finestra-immagine del browser. Con un altro clic la tabella si può ingrandire ulteriormente.

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