Finta etichetta d’origine e Dop svendute agli Stati Uniti. Complimenti Europa!

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Due siluri al made in Italy. L’Europa è riuscita in una settimana ad assestare due colpi da cappaò ai manufatti e agli alimenti tricolori. Martedì scorso, 15 aprile, il Parlamento europeo ha approvato il nuovo regolamento comunitario sull’etichettatura obbligatoria. Il Made in Italy, made in France, made in Germany e via dicendo. Peccato che in base all’articolo 7 del nuovo regolamento, che applica (perdonate il giro di parole) l’articolo 24 del Codice doganale comunitario otterranno il passaporto italiano prodotti fabbricati quasi per intero all’estero. Come prevede la cosiddetta «origine non preferenziale». Ecco come funziona:

Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

Così diventeranno italiane le scarpe ottenute dall’assemblaggio di suole e tomaie importate ad esempio dalla Cina o dal Vietnam, o gli abiti rifiniti qui ma tagliati in India. Purtroppo a votare il Regolamento comunitario che introduce la finta etichetta d’origine è stato un fronte molto ampio di parlamentari, inclusi, da quel che mi risulta tutti gli italiani a Strasburgo. Ho provato a intervistarne qualcuno ma le bocche sono rigorosamente cucite: c’è la consapevolezza di aver varato un provvedimento monco e pericoloso. E vista l’imminenza delle elezioni europee tutti (o quasi) preferiscono tacere.

Per fortuna la presunta norma salva made in Italy non si applica agli alimenti. Ma il tricolore a tavola deve incassare comunque un duro colpo, questa volta dalla Commissione europea. Sono in corso infatti i difficili negoziati fra Usa e Ue per il Transatlantic Trade and Investment Partnership, abbreviato con una sigla impronunciabile: Ttip. Sul tavolo il confronto attorno al riconoscimento delle Dop e delle Igp europee che Washington non vuol neppure prendere in considerazione. Se lo facesse una parte consistente dei 20 miliardi di dollari di fatturato prodotti dai finti  formaggi e salumi italiani svanirebbe. Parmesan, american grana, gorgonzola cheese, Romano: se l’America accettasse l’unicità delle denominazioni d’origine europee i due terzi dei formaggi Usa dovrebbero cambiare nome. Ecco perché l’amministrazione Obama si rifiuta perfino di prendere in considerazione le nostre Dop. Il presidente, infatti, è inchiodato a due petizioni firmate dai Senatori Usa che lo invitano a non cedere di un palmo. La prima riguardava le Dop in genere ed è partita a marzo. Nella seconda, datata 4 aprile e di cui sono venuto in possesso (ecco il link per scaricare l’originale) ben 45 congressman americani chiedono in sostanza alla Casa Bianca di opporsi con ogni mezzo alla richiesta europea di riconoscere l’esclusività delle indicazioni geografiche per la carne e i derivati. E si riferisce chiaramente ai salumi.

Da quel che mi risulta Bruxelles è orientata purtroppo a calare le braghe, replicando per gli Usa l’accordo firmato col Canada: sul mercato nordamericano coesisteranno sia le Dop europee sia le imitazioni americane. Col risultato di confondere i consumatori  che continueranno a comperare tranquillamente i falsi formaggi italiani. Francamente era difficile immaginare un esito meno sfavorevole a noi. Ma alla Germania, che continua a dettare legge in Europa, cosa può interessare la protezione delle Dop? E infatti…

A meno di ritardi, sempre possibili, l’annuncio della firma dell’accordo Ttip dovrebbe arrivare il 5 maggio. A darlo sarà il viceministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, durante l’assemblea Federalimentare in programma a Cibus (Parma) il prossimo 5 maggio.

Complimenti Europa!

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