Nuovo siluro dell’Europa ai cibi trasparenti. Mentre nelle stanze del potere comunitario si metteva a punto l’accordo politico che ha portato alla presidenza della Commissione la tedesca Ursula von del Leyen e alla Bce la francese Christine Lagarde, dall’Eurogoverno partiva una lettera indirizzata all’esecutivo italiano con la messa in mora delle disposizioni sull’origine trasparente dei cibi contenute nel Decreto semplificazioni, divenuto la legge 12 del 2019. A firmare la missiva è Anne Bucher, a capo della Direzione generale per la Salute e la Sicurezza alimentare della Commissione europea. In sostanza la Ue ha dichiarato illegittime le norme a difesa del vero made in Italy inserite nella legge 12 del 2019, approvata dal Parlamento italiano l’11 febbraio scorso.
È la terza volta che Bruxelles affonda un provvedimento italiano destinato a rendere chiara, in etichetta, l’origine dei cibi che portiamo a tavola ogni giorno. Il primo stop arrivò nel 2005 quando l’Eurogoverno annullò la legge sull’etichetta «100% Italia». Il secondo siluro, invece, è giunto a segno sei anni dopo, nel 2011, quando gli allora commissari Ue John Dally (Salute) e Dacian Ciolos (Agricoltura), arrivarono a minacciare l’apertura di una procedura d’infrazione per la legge Zaia sulle filiere trasparenti. L’accusa, chiaramente strumentale, fu di «ostacolo alla libera circolazione delle merci nel mercato unico». La nuova bomba europea sul made in Italy risale al 21 giugno scorso quando la Bucher ha fatto recapitare al nostro ambasciatore a Bruxelles Michele Quaroni la missiva che in sostanza, dichiara la nullità delle nuove norme italiane comprese nel Decreto semplificazioni. Il motivo è duplice. Innanzitutto l’Italia non avrebbe rispettato la procedura di notifica alla Commissione Ue per le norme che riguardano l’etichettatura degli alimenti. Il nostro esecutivo avrebbe dovuto inviare a Bruxelles uno schema di decreto, in pratica una bozza, chiedendo il via libera alla Commissione, che avrebbe avuto tre mesi di tempo per rispondere: sì o no. E, chiaramente, la risposta sarebbe stata «no». In secondo luogo, sempre secondo la Ue, le disposizioni contenute nella Legge 12 sono a carattere generale, riguardano potenzialmente tutti gli alimenti, mentre i singoli Paesi possono chiedere sì delle deroghe, limitatamente però a tipologie ben precise di alimenti, ad esempio il latte. COMPETENZA ESCLUSIVA Vale la pena di ricordare che la Commissione europea ha la competenza esclusiva sulle norme che regolano l’etichettatura degli alimenti. E con la scusa di armonizzare l’etichettatura ha reso di fatto quasi completamente opache le etichette alimentari. Con il regolamento 1169 del 2011 ha abolito di fatto l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o di confezionamento. Ma la madre di tutte le fregature (europee) è contenuta nel Regolamento esecutivo numero 775 del 2018, destinato a disciplinare l’etichettatura dell’ingrediente primario per gli alimenti. Per capirci, il grano nella pasta e il latte nei formaggi. Anziché fare chiarezza è stata introdotta la possibilità di dichiarare come origine dell’ingrediente principale «Ue e non Ue». Così il produttore dice ai consumatori che il formaggio o la pasta che sta mettendo nel carrello è fatta con materie prime provenienti dal Pianeta Terra. ORIGINE PIANETA TERRA Il Parlamento di Strasburgo aveva votato una risoluzione che obbligava la Commissione a fare chiarezza nei casi dubbi, ad esempio quando una pasta di marca italiana utilizzi materia prima importata. L’Eurogoverno, però, ha escogitato una formula che consente ai furbi di non raccontare praticamente nulla. Dire che ad esempio la semola di grano duro proviene dall’Unione europea e da altri Paesi extra Ue – non meglio identificati – equivale a dichiarare che non proviene né da Marte e tanto meno dalla Luna. Ma da qualche angolo del globo terrestre. Fra l’altro, nella lettera spedita il 21 giugno, la Commissione indica anche la strada per far decadere gli eventuali decreti che potrebbe essere tentato di emanare il ministero delle Politiche Agricole (Centinaio) con quello dello Sviluppo (Di Maio): «Gli interessati», scrive la Bucher, «possono contestare la legittimità della regolamentazione dinanzi a un tribunale nazionale e chiederne l’inapplicabilità». Basta un ricorso al Tar e le etichette d’origine saltano. La strada per la trasparenza a tavola resta in salita ed è sempre più costellata di ostacoli.
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