La fabbrica del tarocco è sempre aperta. Grazie anche alla diffusione mondiale dei finti prodotti made in Italy, quando lo Stivale è illuminato dalla fioca luce lunare, agli antipodi si producono senza sosta specialità tricolori di ogni tipo. Rigorosamente false, s’intende. La globalizzazione è anche questa. E avanza anziché indietreggiare. Come nel caso della ‘Nduja.

La specialità calabrese, originaria per la precisione di Spilinga, piccolo comune in provincia di Vibo Valentia. Un insaccato ottenuto lavorando le parti grasse e morbide del maiale, con l’aggiunta di peperoncino piccante calabrese e confezionate nel budello cieco del suino. La brutta notizia è che mentre in Italia si discute da tempo sul disciplinare col quale chiedere alla Ue il marchio Igp (Indicazione geografica protetta) gli inglesi si sono portati avanti. Producendosi la ‘Nduja a casa loro.

TAROCCHI GROSSOLANI

È in commercio da qualche tempo un salume che imita grossolanamente l’originale vibonese, fatto per di più con l’aggiunta di pepe di Cayenna: la Yorkshire Nduja che prende il nome dalla contea inglese situata nella parte settentrionale del Paese, quasi al confine con la Scozia.

'nduja tarocca inglese
La ‘Nduja tarocca confezionata nello Yorkshire

A confezionare questo falso è Lishman’s of Lilkley, che si definisce «pluripremiato macellaio dello Yorkshire», a sua volta ispirato da uno chef calabrese Francesco Mazzei, divenuto una celebrità nel Regno Unito dopo aver aperto a Londra tre ristoranti di grande successo. Ignoro se ai sui tavoli si serva ‘Nduja originale oppure la copia locale.

LA ‘NDUJA MADE IN ILLINOIS

'Nduja tarocca fatta in Usa
La ‘Nduja taroccata nell’Illinois

Ma se fin qui la notizia era brutta – pur trattandosi dell’ennesimo tarocco – ce n’è una peggiore. L’imitazione inglese non è unica. Anzi è l’ultima di una lunga serie. Da decenni negli Stati Uniti esistono diversi insaccati che utilizzano la stessa denominazione. Il più famoso di tutti è probabilmente quello sfornato da ‘Nduja Artisans di Chicago che nell’Illinois tarocca molte specialità italiane: dalla Sopressata calabrese alla Finocchiona toscana fino a una improbabilissima Bresaola. Tutte rigorosamente dichiarate «made in Usa».

Portarsi a casa questi cloni americani di salumi della tradizione italiana è più facile del previsto. Come informa lo stesso sito del produttore (eccolo). Lo si trova nelle maggiori catene specializzate, inclusi gli Eataly di New York e Chicago. Forse qualche domanda al presunto guru mondiale dell’italianità a tavola, Oscar Farinetti, bisognerebbe pure rivolgerla: perché nei punti vendita fuori dall’Italia, anziché portare l’originale preferisce vendere disinvoltamente i tarocchi locali? 

PURE GLI AUSTRALIANI NON SCHERZANO

E a dimostrazione che l’italian sounding non conosce letteralmente confini, ecco spuntare pure una ‘Nduja made in Australia confezionata direttamente in una busta sottovuoto negli impianti della Salumi Australia di Byron Bay, importante località balneare nel Nuovo Galles del Sud.

D’altronde ha poco senso scandalizzarsi ora, visto che addirittura nel 2016, l’agenzia internazionale Bloomberg aveva incoronato proprio la ‘Nduja «cibo dell’anno per inglesi e americani», come riferiva puntualmente l’Huffingtonpost. Anziché accontentarsi di celebrare la grandezza gastronomica del nostro Paese faremmo meglio a chiederci da dove arrivino i presunti cibi italiani che riscuotono tanto successo in tutto il mondo. Iniziando a chiederne conto ai nostri chef, stellati o meno, che affollano i palinsesti tv in una sempre meno sopportabile cuococrazia televisiva

PROTEZIONE INEFFICACE

Infine un plauso agli amici della Coldiretti Calabria, per aver sollevato lo scandalo della Yorkshire ‘Nduja. Il sindacato guidato da Ettore Prandini si trova quasi solo nella difesa delle tradizioni alimentari italiane e chi lo critica farebbe bene a pensarci cento volte prima di farlo. Mi tocca però dare una delusione a tutti i miei compagni di viaggio nel difficile cammino verso la verità e la trasparenza a tavola: anche qualora la ‘Nduja di Spilinga dovesse ottenere la tanto agognata Igp, si tratterebbe di un’arma di difesa spuntata. Gli Stati Uniti come l’Australia non riconoscono le nostre indicazioni geografiche. Mentre con la Brexit imminente, ottenere tutela in Gran Bretagna sarà sempre più difficile.

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