Il vino Giordano (venduto solo sul web) conquista gli Stati Uniti

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Con 24 milioni di bottiglie spedite ogni anno nel mondo, la cantina piemontese è al primo posto in Europa nella vendita online del nettare di Bacco. L’ad Felice: «Prossimo obiettivo la Cina»

Oltre un secolo di storia, 450 dipendenti, un fatturato 2013 che supera i 100 milioni di euro e soprattutto tre milioni di clienti diretti che lo scorso anno hanno acquistato, via internet, ben 24 milioni di bottiglie. La Ferdinando Giordano, sede a Diano d’Alba, in Piemonte, nel cuore delle Langhe, è una di quelle aziende che non ti aspetti, con un modello di business decisamente inconsueto: le oltre 100 etichette che ha a catalogo riesce a venderle quasi in tutto il mondo. La notizia è che dopo essere entrata nel mercato statunitense nel 2013, aprendo i mercati di California, Texas e Illinois, quest’anno sta conquistando pure Minnesota e Nevada, due stati con i tassi di aumento nel consumo di vino fra i più alti degli Usa.

La cantina Giordano ha un primato invidiabile per un’azienda basata in Italia: è il primo produttore europeo di vini con la vendita diretta, oltre a essere comunque fra le top 20 nella classifica Mediobanca. Vi confesso che la cosa mi ha incuriosito. Così ho fatto una chiacchierata con l’amministratore delegato, Simonpietro Felice, che guida l’azienda dove tuttora lavorano Ferdinando e Gianni Giordano, terza e quarta generazione della dinastia piemontese. Ecco la trascrizione fedele della telefonata. È un po’ lunga per il web, ma una volta tanto ho deciso di non tagliare nulla.

Dunque siete la prima cantina europea a vendere solo su Internet?

«Non sono tanti i produttori di vino a utilizzare la vendita online», mi spiega Felice, «ma fra quanti lo fanno la Giordano è quella con i maggiori volumi».

Quanto vino vendete?

«Venticinque milioni di bottiglie l’anno che valgono un fatturato di 101 milioni di euro. Tre milioni vanno all’estero a distributori locali. Il rimanente, 22 milioni, viene acquistato direttamente dai clienti finali, italiani, tedeschi, francesi…>.

Quali sono i mercati in cui siete presenti?

«In Europa abbiamo consolidato la nostra presenza nei sette Paesi maggiori e siamo entrati anche nei Paesi scandinavi. Negli Usa vendiamo in otto Stati su cinquanta e il nostro obiettivo è quello di raggiungerli tutti».

Cosa significa vendere il vino sul web? Non si tratta di un prodotto paragonabile nemmeno lontanamente a un dispositivo elettronico, un libro o delle scarpe…

«In realtà il vino si presta molto alla vendita a distanza perché è un prodotto confezionato che può essere ben descritto, ma ha un grande difetto: le persone sono molto restie a provare un vino che non conoscono. C’è un’ansia che non si verifica in molti altri settori del commercio elettronico: si ha sempre paura della fregatura o di acquistare un prodotto che non vale il prezzo pagato. È per questo che gli italiani come gli stranieri si affidano sempre alle medesime etichette».

E allora qual è il segreto per cui riuscite a vedere oltre 20 milioni di bottiglie l’anno?

«Abbassare il livello di ansia dell’acquirente, raccontando la storia di un’azienda che da più di cent’anni produce vino. I clienti, poi, possono sempre rendere le bottiglie che hanno comperato. In qualunque momento, poi, possono venire a visitare le nostre cantine,o semplicemente  telefonarci per fare qualunque tipo di domanda. Puntiamo a creare quel rapporto relazionale che aiuta a stemperare le ansie e a fare il primo ordine. Una volta che i clienti assaggiano il nostro vino la fidelizzazione è molto alta. La vera difficoltà è nel primo acquisto».

Quanti sono i clienti fedeli?

«Cinquecentomila in Italia e quattrocentomila all’estero che acquistano regolarmente ogni anno. Un parco clienti molto grande, costruito in tanti anni di storia…».

Ma il commercio elettronico  è una modalità di vendita recente. Lei parla di storia…

«La Giordano è partita con la vendita diretta ai privati nel 1956 quando a internet nemmeno si era pensato. La versione attuale della vendita per corrispondenza è quella online. Anziché far arrivare una proposta per lettera avviene tutto con un click del mouse».

Quante etichette avete in catalogo? 

«Centocinquanta. Fino agli anni Novanta la Giordano  produceva solo vini piemontesi: barbera, barolo, nebbiolo… In quel decennio è iniziata l’espansione all’estero. Fuori dall’Italia, però, non c’è la distinzione regionale che è ben chiara a noi. Sono pochi gli stranieri in grado di associare un vino italiano al territorio d’origine. Soprattutto negli Stati Uniti. Un americano le sa dire il nome delle città più famose, Roma, Firenze, Venezia. Ma se gli si domanda in quale regione si trovino non è in grado di rispondere. All’estero ci percepiscono come un produttore di vini italiani. E questo è il nostro valore aggiunto. Erano in molti a chiederci perché non offrissimo il Chianti, il Prosecco, il Primitivo… Ecco perché abbiamo deciso di ampliare la gamma di vini anche al di fuori del Piemonte. Ed accadde una cosa che non ci aspettavamo…».

Quale?

«Anche in Italia, dove eravamo visti come produttori piemontesi, i clienti hanno iniziato ad apprezzare più che in passato il servizio e il rapporto diretto con la consegna a domicilio…».

Pure questi altri vini li imbottigliate sempre voi?

«Sì. Sono sempre Giordano. Ma con una distinzione fondamentale. I vini Docg (a Denominazione controllata e garantita, ndr) vanno imbottigliati nella zona d’origine dell’uva. Noi abbiamo due cantine, una in Piemonte, l’altra in Puglia. I vini piemontesi e pugliesi li possiamo fare Docg anche noi. Gli altri sono vini da tavola, Igt, o Doc. L’importante sono le uve che comperiamo in Veneto piuttosto che in Toscana. Poi le vinifichiamo in Piemonte…».

Dunque all’estero non si bada al legame col territorio come da noi?

«Il vero valore aggiunto è il made in Italy. Al di fuori dei pochissimi appassionati che conoscono alcune zone del nostro Paese per esserci stati, a vincere è l’italianità. L’importante è avere sedi e stabilimenti in Italia, con personale che risponde alle telefonate in tedesco, francese, inglese o russo ai clienti che ci chiamano dall’estero. I dipendenti sono tutti italiani. La genuinità del prodotto e del servizio è molto apprezzata».

Parliamo della logistica: non è semplice spedire dei cartoni di vino in giro per il mondo. Come fate?

«Questo è stato il più grande ostacolo che la Giordano ha dovuto superare negli anni. Ora è diventato un punto di forza. Nel 1956, quando  Ferdinando Giordano spediva i primi cartoni di vino a Milano e a Roma, utilizzava la ferrovia. Portava lui gli scatoloni  alla stazione di Alba e poi si appoggiava a due trasportatori locali nelle città di destinazione, in pratica due padroncini, che consegnavano a casa dei clienti. Oggi il sistema si è evoluto: abbiamo  un nostro parco mezzi che trasporta dallo stabilimento logistico a tutta l’Europa e due magazzini negli Usa. Da li in poi ci sono dei corrieri che coprono l’ultimo miglio. Ogni anno facciamo circa un milione e 200mila spedizioni ai privati. Ma non è solo una questione di logistica…».

In che senso?

«L’aspetto critico è il servizio al cliente. La consegna fisica del prodotto è importante ma non è in cima alle priorità. Ci sono  clienti che chiedono la consegna a un determinato orario, oppure a un indirizzo diverso dal proprio, o ancora domandano di fare il pagamento posticipato. Vanno seguiti tutti fino in fondo. Il vino devi venderlo e consegnarlo come vuole ciascuno di loro. La fidelizzazione si ottiene così».

E la Cina?

«L’estremo Oriente, al pari della Russia, lo serviamo in maniera tradizionale: vendiamo a importatori di quei Paesi che a loro volta consegnano il nostro vino ai clienti locali. Completata entro tre anni l’espansione negli States, punteremo all’Estremo Oriente».

Quante persone lavorano per voi?

«In tutto abbiamo 450 dipendenti, 250 dei quali sono operatori telefonici che ricevono e fanno chiamate in cinque lingue. Altri duecento si dividono fra cantinieri,  addetti alla logistica, marketing. Legati cioè alla produzione».

Sono tutti dipendenti diretti?

«Sì, la Giordano fino a sette anni fa non aveva operatori telefonici interni e utilizzava dei call center esterni. Ma  abbiamo riscontrato due ordini di problemi molto seri. Innanzitutto le persone che lavoravano per noi avevano dei contratti non a norma e per quanto chiedessimo che i datori di lavoro li regolarizzassero non avveniva mai. E poi si trattava di personale con un alto turnover: ogni sei mesi cambiavano. E ogni volta eravamo costretti a ricominciare d’accapo: spiegando a ciascuno tutto sul nostro vino, sul nostro parco clienti. Così abbiamo deciso di internalizzare il servizio ai clienti, assumendo queste persone a ondate di trenta, quaranta  l’anno. Ora sono al 99% nostri dipendenti e siamo molto contenti dell’investimento fatto».

I risultati economici della Giordano come sono?

«Altalenanti. I ricavi sono polarizzati. L’Italia continua a perdere ricavi e ordini. Il calo dei consumi legato alla crisi si somma a una tendenza di fondo in atto da anni: da noia si beve sempre meno vino. La domanda interna decresce al ritmo del 5% l’anno. Un trend legato al cambio di abitudini delle nuove generazioni, più orientate agli alcolici e alla birra. All’estero accade esattamente l’opposto, una crescita importante nel consumo di vino, in particolare di quello italiano. I nostri volumi totali sono sostanzialmente stabili, ma i clienti esteri crescono mentre gli italiani calano».

L’ultimo bilancio com’è andato?

«Il 2013 si è chiuso con 101 milioni di ricavi, sostanzialmente stabile rispetto al 2012. Con la crescita all’estero abbiamo compensato il calo degli ordini dall’Italia. Cosa che non eravamo riusciti a fare all’inizio della crisi, quando non fummo abbastanza rapidi nel proporci su nuovi mercati esteri. Dal 2010 però la musica è cambiata. Ora il nostro obiettivo è quello di aprire ogni anno almeno un nuovo mercato. Il difficile è strutturarsi per ricevere i nuovi ordini. Ma ogni volta che la Giordano entra in un nuovo Paese le vendite poi decollano».

 

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