L’Europa vara il regolamento sul «made in» obbligatorio. Ma è una bufala

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A sorpresa la Commissione europea ha varato il nuovo regolamento per l’etichetta d’origine obbligatoria. Abiti, calzature, giocattoli ma probabilmente anche oggetti d’arredo, apparati elettrici e simili dovranno recare in buona evidenza il «made in…». La tracciabilità (si fa per dire) riguarderà sia i prodotti fabbricati nei Ventisette, sia quelli in arrivo dai Paesi extra Ue. A darne notizia, con soddisfazione, è stato il vicepresidente dell’eurogoverno Antonio Tajani assieme al commissario alla salute Tonio Borg. Proprio mentre a Bruxelles arrivavano notizie inquietanti che confermano la vastità dello scandalo delle lasagne di cavallo (anche Svizzera e Norvegia hanno ritirato le «Beef Lasagna» della Findus) la Commissione annunciava il disco verde a un nuovo regolamento destinato a garantire la tracciabilità per tutto quanto viene commercializzato nell’Unione. Tranne gli alimenti. Prepariamoci a vedere sulle confezioni dei prodotti più disparati anche il bollino «made in Eu» (simile a quello con cui apro questo post). Già, perché in alternativa alla dichiarazione d’origine con l’indicazione del singolo Paese, i manufatti prodotti nelle fabbriche dei Ventisette potranno fregiarsi dell’etichetta comunitaria. E già questo è sufficiente a far venire la pelle di cappone ai tifosi della trasparenza. Grazie al meccanismo delle triangolazioni – già ampiamente usato oggi ad esempio per l’olio extravergine – chissà quanta robaccia di pessima qualità verrà travestita da prodotto europeo. E messa in vendita come tale.

Ma il peggio non è questo. La vera iattura per i consumatori è l’articolo 7 del nuovo «Regolamento sulla sicurezza generale dei prodotti» che recita:

Ai fini della determinazione del Paese di origine (…) si applicano le regole di origine non preferenziali stabilite agli articoli da 23 a 25 del Regolamento del Consiglio n. 2913/92 che stabilisce un Codice doganale comunitario.

E proprio qui sta la fregatura solenne. Proprio il famigerato articolo 24 del Codice doganale è stato il grimaldello utilizzato fin qui dalla Commissione e dalle grandi lobby industriali del nord Europa per stoppare sul nascere ogni tentativo di introdurre la tracciabilità. Quella vera, in base alla quale si possa risalire ad esempio alle materie prime impiegate per confezionare le lasagne surgelate della Findus alla carne di cavallo. Ecco cosa prevede l’art. 24:

Una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

Importo un abito dall’India? Basta che gli applichi i bottoni in Italia e per magia diventa «made in Italy». Faccio arrivare suole e tomaie dal Vietnam? È sufficiente che le incolli in uno stabilimento italiano e dalla sera alla mattina diventano scarpe italianissime.
Incidentalmente gli articoli dal 22 al 26 sono proprio quelli di cui si è servita la Commissione per emettere il 24 ottobre 2005 un «parere circostanziato» con cui ha demolito la legge italiana sul «made in Italy» obbligatorio. E con cui ha bloccato l’ultimo provvedimento approvato dal nostro Parlamento – era l’inizio del 2011 – sulla trasparenza delle filiere alimentari. Null’altro che una clava utilizzata con spietata freddezza contro la trasparenza. Insomma, nella migliore delle ipotesi il nuovo Regolamento europeo sarà un bufala. Nella peggiore rischia di dare una patente europea a prodotti fabbricati ai quattro angoli del pianeta.
Al contrario ci avviamo verso un appuntamento serissimo. Il 20 febbraio, mercoledì della settimana prossima, a Bruxelles ci sarà un round decisivo nell’iter per abolire l’etichetta facoltativa per le carni bovine. Il tutto, come sottolinea il presidente del consorzio L’Italia Zootecnica Fabiano Barbisan, «per favorire l’industria dell’anonimato».

Per dirla con Bersani, a Bruxelles mica stanno a pettinare le bambole. E si vede.
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3 COMMENTS

  1. Caro Bernard, purtroppo temo di no. Il risultato del nuovo regolamento sul «made in» obbligatorio è devastante: ora i delocalizzatori riusciranno a ottenere facilmente la patente di italianità per i prodotti che fanno realizzare nei Paesi a basso costo della manodopera. Un caso conclamato di doping industriale.

  2. Calma ragazzi, la proposta é appena giunta in Parlamento Europeo. Potranno essere introdotte proposte migliorative. Siamo appena all’inizio dell’iter dell’intero provvedimento.

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