Obbligati dall’Europa a vendere il finto olio d’oliva

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In Ungheria bruciano le bandiere della Ue. E sospetto che facciano bene. Non passa settimana, praticamente, che da Bruxelles non arrivi una fregatura. E non penso alla trappola finanziaria con la quale gli «amici» tedeschi hanno sospeso la democrazia. Di questo si sono occupati lungamente i giornali. Non ho molto da aggiungere a quanto pubblicato negli scorsi due mesi dai mass media. Il furto che ci hanno fatto è sotto gli occhi di tutti. Me la cavo con una citazione: «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico». Con queste parole profetiche Herbert Marcuse apre L’uomo a una dimensione, uno dei testi-simbolo della rivolta anticapitalistica (e poi antisovietica) alla fine
degli anni Sessanta. Ma la non-libertà che ci impone l’Europa si misura anche su «piccoli» dettagli in apparenza insignificanti. Leggi, leggine e soprattutto regolamenti compilati nelle stanze del potere di Bruxelles. Lontano da qualsiasi tentazione democratica.
Non è la prima volta che mi occupo di questo odioso modo di decidere sulla vita di mezzo miliardo di individui. La novità è che la lista delle porcherie made in Europe si è allungata proprio in questi giorni. E’ stato pubblicato a metà gennaio il nuovo Regolamento (eccolo!) sulle norme di commercializzazione dell’olio di oliva. Il numero 29 del 2012. Fra le innumerevoli amenità che contiene ce n’è una che voglio segnalarvi. Recita l’articolo 6:

«Se è riportata nell’etichetta, al di fuori della lista degli ingredienti, la presenza di oli (…) in una miscela di olio d’oliva e di altri oli vegetali, attraverso termini, immagini o simboli grafici, la denominazione di vendita della miscela è la seguente: “Miscela di oli vegetali (o nomi specifici degli oli vegetali) e di olio d’oliva”, seguita immediatamente dall’indicazione della percentuale di olio d’oliva nella miscela. La presenza dell’olio d’oliva può essere indicata nell’etichetta delle miscele di cui al primo comma attraverso immagini o simboli grafici unicamente se la percentuale di olio d’oliva è superiore al 50%».

Dunque può accadere che una confezione di olio con un’etichetta (e magari) un marchio che identificano l’olio di oliva, ne contenga poco più della metà. Il resto può essere di semi. Tutto regolare. Tutto secondo la legge dell’Europa.
Ma c’è dell’altro. Come chiarisce senza ombra di dubbio il resto dell’art. 6.

«Gli Stati membri possono vietare la produzione, sul loro territorio, delle miscele di oli di oliva e di altri oli vegetali (…) tuttavia essi non possono vietare la commercializzazione, sul loro territorio, di siffatte miscele di oli provenienti da altri paesi, né vietare la produzione, sul loro territorio, di siffatte miscele ai fini della commercializzazione in un altro Stato membro o dell’esportazione».

E questa è la norma più subdola. Anche se da noi non si possono produrre queste miscele diaboliche, etichettandole per di più con immagini che le facciano passare per olio d’oliva, non possiamo impedire ai produttori di altri Paesi di immetterle sul nostro mercato. Dunque prepariamoci a portare in tavola l’ennesima porcheria che ci impone la Ue. Il diritto alla trasparenza dei consumatori? Dalle parti di Bruxelles (e di Berlino, Amsterdam, Londra e via dicendo) non sanno che farsene. Come per la democrazia.

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