Renzi in Cina: «Macché delocalizzazione, le imprese si internazionalizzano»

«La sfida più bella – ha affermato il premier italiano Matteo Renzi in visita in Cina  – deve ancora venire. Io sono grato agli imprenditori che investono in Italia e sono grato agli imprenditori italiani che sono qui non per delocalizzare, una parola sbagliata, ma per internazionalizzare, rendere globale il proprio business».   «Dico  agli imprenditori italiani», ha chiosato il capo del governo, «adesso tocca a voi. Dobbiamo far vedere quello che valiamo. Saremo in grado di scrivere una importante pagina di futuro e scrivere il futuro è più bello che scrivere il passato».

A chiarire il significato delle dichiarazioni di Renzi ci ha pensato la ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi, che lo accompagnava nel tour asiatico: «Bisogna mantenere e preservare le produzioni in Italia ma bisogna lasciar crescere le nostre aziende. E l’unico modo che conosco per farlo è che vadano sui mercati internazionali. E ci sono mercati come questo [la Cina, ndA] che è quasi impossibile fornire se non si hanno basi produttive qui per ragioni di costo, logistica e rapidità nel servire i mercati. Quindi il termine internazionalizzazione è un termine assolutamente positivo: far crescere le aziende e garantire loro un futuro anche nel nostro Paese».

Il meccanismo non è nuovo. Aveva pensato addirittura a codificarlo l’allora viceministro dello Sviluppo con delega al commercio estero Adolfo Urso (eravamo nella prima metà degli anni Duemila). Poi non se ne fece nulla perché i delocalizzatori rifiutarono di accettare la regola in base alla quale avrebbero dovuto mantenere una base produttiva nello Stivale. Comprensibile, purtroppo: se sperimenti i costi e l’assenza di regole per il lavoro  dell’ex Celeste Impero, chi te lo fa fare di restare a produrre da noi?

Inutile dire che i manufatti realizzati in Cina dalle imprese italiane «internazionalizzate» si presenteranno comunque come made in Italy, fatti in Italia. Altrimenti chi li acquisterebbe più?