Turismo e agricoltura si possono sposare nel tempio dell’etichetta

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Il turismo enogastronomico in Italia vale da 3 a 5 miliardi l’anno. La cifra non è precisa perché è difficile quantificare i ricavi provenienti da comparti che nella contabilità nazionale sono slegati l’uno dall’altro. Ed è proprio qui il problema. Mentre i turisti si muovono alla ricerca di luoghi, atmosfere e gusti del tutto originali, gli anelli che compongono la filiera composta da enogastronomia e offerta turistica in senso stretto si presentano in ordine sparso.
Ieri si è svolta a Cagliari, nella splendida e austera cornice del Castello di San Michele (foto), l’edizione 2011 del Forum del turismo enogastronomico, organizzato dall’associazione Città del vino e dall’Assessorato al Turismo della Regione Sardegna. Non voglio annoiarvi col resoconto dei lavori. Quel che è emerso rappresenta però il punto di partenza per la rivincita del vero Made in Italy: l’arte, la bellezza, i territori assieme all’offerta enograstronomica fanno del nostro Paese un caso unico al mondo. A due condizioni: che gli operatori – non solo quelli turistici in senso stretto, quindi non soltanto albergatori e ristoratori – sappiano prendere per mano i visitatori accompagnandoli e viziandoli in ogni fase del viaggio e (seconda condizione) che l’offerta di vini e cibi locali sia trasparente, certificata e di altissima qualità.

Ha detto a Cagliari l’assessore regionale all’Agricoltura della Sardegna Mariano Contu: «Le filiere produttive e di trasformazione dei prodotti enogastronomici devono perfezionarsi ulteriormente, presentandosi sui mercati con una certificazione di qualità che rappresenta una garanzia di riconoscimento. Il turista enogastronomico predilige infatti la ricerca di prodotti di nicchia tipici e rappresentativi del territorio come il pane, la pasta, i dolci, l’olio, il vino, le carni che vuole consumare durante il soggiorno nelle località di origine». Già, prodotti certificati e riconoscibili come originali. E l’unico modo per garantire che siano davvero tali è l’etichettatura trasparente. «I nostri territori sono caratterizzati da un ambiente unico e da una natura incontaminata», ha concluso Contu riferendosi alla Sardegna, «che si riflette sulla qualità delle nostre produzioni, le quali, grazie all’applicazione della normativa sulla certificazione, sono facilmente rintracciabili, attraverso l’etichettatura. Si tratta di prodotti di nicchia, che non riuscendo a entrare nella rete della grande distribuzione, possono invece essere commercializzati a chilometri zero negli agriturismi e nelle reti specializzate di settore>. Questo vale per la Sardegna ma anche per il resto d’Italia.
Non è un caso che un accordo siglato dai ministeri dell’Agricoltura e del Turismo punti proprio a promuovere il turismo enogastronomico italiano con la creazione di “distretti turistico-alimentari”. Se si vuole che questa nuova offerta integrata funzioni bisogna però ripartire da zero, realizzando fisicamente le cartine degli infiniti itinerari del gusto, dell’arte e dei territori che offre la Penisola. Immaginiamo un’infrastruttura raggiungibile con i nuovi dispositivi portatili (smartphone, tablet e via dicendo) accessibile in ogni momento e da qualsiasi luogo che aiuti il turista a realizzare il proprio itinerario attraverso luoghi d’arte, paesaggi irripetibili, albeghi, ristoranti, agriturismi e zone di produzione di vini e specialità gastronomiche. Non serve l’ennesimo carrozzone multimediale. Potrebbero cominciare i singoli distretti. Poi sarà il mercato a decidere chi ha fatto bene e chi no. A una condizione: che ciascun distretto abbia la percezione di essere tale e si organizzi per proporre al turista una vera offerta integrata. E’ aspettarsi troppo?

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