Ungheria, Bulgaria e Argentina: l’invasione del miele straniero

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Ogni anno produciamo circa 13 milioni di chili di miele che equivalgono almeno a 28-30 milioni di barattoli messi in commercio. Ma anche in questo mercato si sta insinuando la Cina: se il trend dei primi sei mesi del 2011 sarà rispettato a fine anno Pechino sarà riuscita a rifilarci ben un milione e mezzo di chili del proprio miele. Quindi almeno un barattolo su 10 arriva dall’ex Celeste Impero, Paese che non brilla certo per trasparenza e sicurezza alimentare. Come ha documentato la Coldiretti su 3.291 allarmi per irregolarità segnalate in Europa, ben 418 riguardavano prodotti cinesi. In passato l’import dell’alimento giallo con questa provenienza era stato sospeso per la presenza di antibiotici.
Devo segnalare però una “stranezza”: del miele Made in China che finisce sul nostro mercato, una volta varcata la frontiera, si perde ogni traccia. Come ho fatto altre volte, vestiti i panni del Casalingo di Voghera, ho passato al setaccio tutti i maggiori supermercati del vogherese, inclusi gli hard discount: Iper, Coop, Esselunga, Gulliver, Lidl e Penny Market, insegna quest’ultima appartenente alla tedesca Billa. I risultati li vedete nella tabella riassuntiva che pubblico in questo post: su 12 barattoli di miele soltanto 5 sono veramente Made in Italy gli altri contengono mieli «originari e non originari della Ce», sigla che sta per Comunità europea, entità sovranazionale per altro superata col trattato di Maastricht che nel 1992 ha dato vita all’Unione.
Fra i prodotti che dichiarano chiaramente l’origine in etichetta sono prevalenti i mieli importati da Ungheria e Argentina. Ma ce n’è pure di proveniente dalla Bulgaria.
I prezzi, per una volta, non rispettano fino in fondo la regola che vuole i prodotti non italiani meno cari dei nostri. Valga per tutti l’esempio del miele Ambrosoli, storica marca (è nata addirittura nel 1923) che gode di una indiscussa notorietà: come si legge chiaramente sulla confezione la materia prima è italiana ma anche ungherese e argentina. Prezzo: 5,50 euro per 500 grammi, fra i più cari che ho rilevato. Fra l’altro il sito web della società, www.ambrosoli.it, risulta irraggiungibile al momento di pubblicare questo post.
Un’ultima nota. Mentre nelle catene della grande distribuzione classica si trova un vasto assortimento di mieli, inclusi alcuni prodotti Dop di altissima qualità (che non ho censito perché legati per legge a una zona di produzione italiana), nei discount la scelta si riduce drasticamente. Nel Lidl e nel Penny Market di Voghera dell’alimento giallo di origine italiana non c’è neppure l’ombra. Sul barattolo a marca «Un Attimo di Dolcezza» non compare fra l’altro il luogo di confezionamento. Per lo meno non scritto in modo che lo possa individuare il consumatore.
Mi rimane un dubbio: che fine fa il miele cinese?

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