Una filiera lunga diecimila chilometri per portare agli inglesi le lasagne di cavallo Findus

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Dopo le lasagne Findus alla carne di cavallo che hanno scatenato la rivolta dei consumatori in tutta Europa è stata la volta della Nestlé che nei giorni scorsi ha ritirato dai punti vendita in Italia ravioli al brasato e tortellini alla carne di manzo a marchio Buitoni. Motivo: conterrebbero, sia pure in percentuale minima, carne equina. In attesa di capire quali saranno gli sviluppi della vicenda, pubblico una ricostruzione della filiera produttiva utilizzata dalla multinazionale svedese per produrre le «Beef Lasagne».
Come si vede dal grafico (alquanto artigianale, lo ammetto, ma non sono un professionista delle infografiche) è lunghissima la catena che conduce dalle stalle romene da cui proveniva la carne equina macinata e congelata alla fabbrica lussemburghese che riforniva i punti vendita in Inghilterra. Paese dove lo scandalo è esploso. Nella filiera compaiono pure due intermediari, uno cipriota e l’altro olandese, sulle cui scrivanie transitavano gli ordini per la materia prima animale.
Francamente non saprei dirvi se l’obiettivo fosse quello di rendere più opaca possibile la provenienza degli ingredienti utilizzati, oppure – più prosaicamente – se la Findus abbia cercato di spendere il meno possibile, affidandosi a imprese che non hanno esitato a girare gli ordini a trader senza scrupoli. Di certo, le frecce che ricostruiscono la filiera delle lasagne di cavallo sono lunghissime e attraversano l’Europa in lungo e in largo. L’esatto contrario delle filiere corte che – a dirlo non è soltanto il sottoscritto e pochi altri – sono garanzia di tracciabilità e qualità dei prodotti. Di trasparenza, insomma.
E non si tratta di mettere i «piccoli» contro i «grandi» produttori, come sostiene il vicepresidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia nell’intervista concessa ad Agra Press il 15 febbraio scorso (qui il link). Ma di garantire da un lato i diritti fondamentali dei consumatori che portano in tavola questi prodotti e, dall’altro, tutelare chi produce materie prime di qualità e completamente tracciabili. Sull’affidabilità della grande industria alimentare europea parlano da soli gli scandali che segnano questi ultimi 25 anni. Il resto è cronaca. Giudiziaria.

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