Ecco il documento «top secret» con cui l’Europa ha detto no alla trasparenza degli alimenti

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La scorsa settimana, dopo mesi di tentativi, ho messo le mani finalmente sul «parere circostanziato» con cui la Commissione europea (il 24 ottobre 2005) ha bocciato la legge italiana che  istituiva il marchio «100 Italia».

Un passaggio decisivo nella guerra  – perché di questo si tratta – per difendere il diritto alla tracciabilità dei prodotti. Sia da parte dei consumatori, sia da parte dei produttori (quelli onesti, naturalmente). Una guerra che finora ha visto prevalere gli interessi dell’industria dell’anonimato. In Europa ma pure da noi. Con gravi conseguenze anche sulla sostenibilità sociale delle filiere alimentari che portano dal campo alla tavola, passando per l’industria di trasformazione.
Innanzitutto una considerazione. La Commissione europea, quando ha emesso il «parere», ha esercitato un potere caratteristico della Corte Suprema Usa e della nostra Corte Costituzionale. Dunque ci troviamo di fronte al primo paradosso: un organo esecutivo, non a caso si parla di Eurogoverno, che agisce però da tribunale di ultima istanza.  Ma le stranezze non finiscono qui. Il documento è da ritenersi «riservato», «limited» come è scritto chiaramente nella prima pagina: «Nel caso in cui detenga il presente documento senza una vera e propria necessità di sapere», si legge nell’ultimo paragrafo della copertina, «ne informi immediatamente l’autore, il mittente o l’ordinante e restituisca il documento senza leggerlo». Ricordiamo sempre che si sta parlando dell’atto di un organo esecutivo che impatta sulla vita di milioni di persone… «L’inosservanza equivale a una violazione della sicurezza e comporta possibili azioni disciplinari o legali». Dunque a diffondere il «parere circostanziato» si rischia grosso. Personalmente me ne frego: da cronista quando inciampo su una notizia importante la scrivo. Altrimenti a che serve la libertà di espressione?
Ricordo un solo caso nella storia recente di un organo esecutivo che assumeva decisioni con questa procedura. Si tratta del Politburo, l’organo esecutivo del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Da un punto di vista del diritto è una vera e propria bestialità e lede uno dei diritti fondamentali dell’uomo: quello di conoscere le regole che governano la sua esistenza. Addirittura, ed è bene saperlo, ci viene impedito di conoscere i non-principi con cui l’Unione europea letteralmente detta legge. E stabilisce cosa possiamo o cosa non possiamo fare. Come dobbiamo presentare i nostri prodotti. E ci impedisce di renderli riconoscibili come italiani.

L’avvocato Bernard O’Connor

Che a Bruxelles le cose funzionino proprio così me lo conferma un avvocato, grande esperto di diritto comunitario, Bernard O’Connor che spiega: «Il diritto della Ue prevede che si debba richiedere l’accesso ai documenti della Commissione e il parere circostanziato emesso il 24 ottobre 2005 è un parere legale. Normalmente non disponibile».
Dunque ecco spiegato perché non se ne trova traccia né sulla Gazzetta Ufficiale della Ue né, tantomeno, sugli atti della Commissione.
Un consiglio spassionato ai vari Berlusconi e Grillo che scoprono ora quanto sia ingiusta l’Europa: date un occhiata attenta ai meccanismi che presiedono alle decisioni nella Ue, soprattutto a quelle assunte da Commissione e Consiglio della Ue. Scoprirete facilmente che sono  per lo meno da vent’anni che Bruxelles calpesta i diritti fondamentali dell’individuo. L’Europa dei banchieri è arrivata buon ultima a bastonare i cittadini. Per le altre istituzioni comunitarie – tranne il Parlamento di Strasburgo – è una pratica consolidata e perfezionata fin nei minimi dettagli.

[1-continua]

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