Schiaffo all’industria e all’Europa: 9 italiani su 10 vogliono l’origine in etichetta

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Il Ministero delle politiche agricole ha comunicato i risultati della consultazione pubblica sull’etichettatura degli alimenti, condotta sul proprio sito internet: 9 italiani su 10 si aspettano di trovare un’indicazione chiara sull’origine dei cibi che comperano, inclusa quella delle materie prime impiegate per realizzare i prodotti complessi. Uno schiaffo all’industria che ha fatto del no all’etichettatura trasparente la propria bandiera. Aiutata validamente dalla Commissione europea e dalle lobby dei paesi nordeuropei. Di più, oltre 8 italiani su 10 pretendono di poter capire anche se la trasformazione delle materie prime e il confezionamento di quel che portano in tavola sia avvenuto oppure no nella Penisola. Una richiesta che va in direzione esattamente contraria rispetto alle disposizioni del nuovo regolamento europeo entrato in vigore il 13 dicembre scorso e che consente di omettere nell’etichetta proprio l’indicazione dello stabilimento dov’è avvenuta l’ultima trasformazione.

Tutti risultati (ecco le tabelle integrali in Excel) che, francamente, mi aspettavo, anche se non con queste percentuali bulgare. Ma a riflettere sui quesiti posti, fatico a immaginare che un italiano avrebbe potuto rispondere diversamente. Né mi meraviglia che l’82% degli oltre 26mila partecipanti alla consultazione promossa dal ministro Maurizio Martina affermi di essere disposto a spendere di più per avere la certezza sull’origine italiana degli alimenti che mangia.

Dall’intera operazione esce poi completamente frantumato il modello Fedaralimentare-Confindustria: i consumatori italiani se ne fregano della presunta garanzia che secondo l’industria deriverebbe dalla marca. Vogliono sapere con precisione la provenienza delle materie prime e il luogo di lavorazione. E ritengono addirittura ingannevole la scelta di non indicare l’origine in etichetta.

A questo punto Martina ha i numeri con i quali chiedere all’Europa di introdurre norme più restrittive sull’etichettatura d’origine. Potrebbe ad esempio provare a rimettere in pista la legge numero 4 del 2011 sulle filiere trasparenti (ecco il testo) che però la Commissione europea bloccò su istigazione della solita Germania, minacciando addirittura di aprire una procedura d’infrazione. Senza dimenticare, però, di sondare il terreno dalle parti del Ministero dello Sviluppo economico, la cui titolare, Federica Guidi, è a dir poco tiepida sul tema delle etichette trasparenti.

Sul fronte delle organizzazioni di rappresentanza del settore c’è da registrare il silenzio di Federalimentare che per altro aveva già bocciato senza appello la consultazione a dicembre, quando Martina l’aveva annunciata: «Il Paese e il settore non si governano con consultazioni popolari e non sempre rappresentative», aveva tuonato il neopresidente Luigi Scordamaglia. L’unica voce inequivocabilmente a favore dei dati emersi dalla consultazione è quella di Roberto Moncalvo, numero uno di Coldiretti: «Il risultato non lascia spazio ad equivoci e impegna le istituzioni (italiane, ndA) a introdurre l’origine in etichetta dove ancora manca, dai formaggi ai salumi, dalle conserve ai succhi di frutta fino al latte a lunga conservazione».

Qualunque provvedimento Martina possa assumere, dovrà preoccuparsi di blindarlo a dovere. Anzi, di predisporre un’adeguata corazzatura. Le bordate che arriveranno da Bruxelles e dall’industria alimentare non saranno certo uno scherzo.

 

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