Con la Nato economica Obama vuol mangiarsi la nostra agricoltura

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Al presidente americano Barack Obama non basta aver scatenato una guerra nel cuore dell’Europa. Il sostegno Usa alla rivolta antirussa dell’Ucraina, accordato senza pensare alle conseguenze che il conflitto avrebbe provocato, è caratteristico della politica statunitense, che almeno una volta al decennio – con poche eccezioni – si trova nel bel mezzo di conflitti e crisi internazionali. La presidenza Obama denota un iperattivismo: dopo aver sostenuto le primavere arabe, risoltesi quasi ovunque con la salita al potere degli integralisti, ha spinto gli ucraini a ribellarsi contro Mosca. Un sostegno giusto in linea di principio ma gravido di conseguenze per gli alleati europei. Italia in testa che dipende dalle importazioni di gas russo.

Ma c’è un altro fronte, assai meno frequentato da giornali e televisioni, in cui gli States sono impegnati a fondo con effetti devastanti per noi: il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti, in sigla TTIP, letteralmente Transatlantic trade and investment partnership. Semplificato in Nato economica. Sul tema sono stati già scritti fiumi di parole. Mi limiterò ad affrontare l’aspetto più inquietante: nonostante l’accordo sia destinato a modificare le nostre vite future, i negoziati avvengono nel più rigoroso dei segreti. Anche la sessione attualmente in corso è riuscita a limitare l’eco sui media a poche notiziole nelle pagine interne dei giornali. Un caso? Assolutamente no. Quel che sta accadendo deve rimanere lontano dai riflettori dell’informazione.

A spiegare il motivo di questa riservatezza è stato il Corporate Europe Observatory, un gruppo di ricerca che si è proposto di sfidare le grandi corporation, americane ed europee, e svelare le operazioni di lobbying che compiono nel processo decisionale europeo. Ebbene gli analisti dell’osservatorio hanno messo in fila e compilato una classifica degli incontri preparatori per l’accordo TTIP, suddividendoli per comparto economico. Ed ecco la sorpresa: il focus non è sulla finanza e nemmeno sui servizi, ma sull’agricoltura, l’agribusiness come si definisce nel burocratese della Ue. Le auto, ad esempio, sono soltanto quarte, come si vede dal grafico che compare nel post, la chimica sesta, il tessile è ultimo.

La verità è questa: Obama vuol far cadere le ultime barriere doganali per inondare l’Europa con i prodotti agricoli made in Usa. Carne, cereali, latte a lunga conservazione e derivati come i formaggi: le lobby americane non vedono l’ora di poter piazzare sul ricchissimo mercato europeo i loro prodotti. Ne ho già parlato il 17 aprile, quando segnalavo il rischio che a fronte del riconoscimento delle nostre Dop, gli Stati Uniti si rifiutano di ammettere le truffe dell’italian sounding. Così non soltanto le nostre indicazioni d’origine si sarebbero trovate sul mercato a confrontarsi con i loro cloni legalizzati (pensate a Parmigiano Reggiano e Parmesan), ma i falsi made in America sarebbero pure arrivati sui banconi dei supermercati italiani. Ho capito però che questo è soltanto un aspetto del problema. E forse nemmeno il più importante. Se l’Europa firma il TTIP e accetta di togliere le barriere all’import da Oltreoceano, settori trainanti della nostra agricoltura rischiano di scomparire definitivamente. I cereali, ad esempio: con i costi di produzione che sono anche la metà dei nostri vista l’estensione dei campi coltivati a grano e mais in Usa, i nostri agricoltori potrebbero fare una sola cosa: cambiare mestiere. La crisi del riso italiano, con i prezzi in caduta dopo il boom di importazioni (+754%) da Cambogia e Birmania per l’azzeramento dei dazi, rischia di essere soltanto l’aperitivo di quel che ci attende dopo l’approvazione del Trattato Transatlantico.

La realtà è questa. Chi volesse approfondire l’analisi del Corporate Europe Observatory sul tema trova tutto a questo link.

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