Alla fiera della pasta di Bologna ho scoperto i maccheroni veramente italiani

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Una domenica a Pasta Trend, il salone dedicato all’alimento nazionale per eccellenza. La manifestazione, ideata da Claudio Vercellone, specialista con la sua Avenue Media nell’organizzazione di congressi, è giunta alla seconda edizione. L’occasione è ghiotta, ho pensato: avrò la possibilità di vedere in presa diretta il mondo della pasta in tutte le sue sfaccettature produttive, industriali, di marketing e del gusto. Così non è stato. L’evento organizzato all’ombra delle due torri, nella Fiera di Bologna, in realtà offre uno spaccato solo parziale sul mondo dei maccheroni. Mancano alcune etichette di peso, a cominciare da Barilla. Intendiamoci, l’idea è buona e alla fine la kermesse risulta gradevole, arricchita da una serie di “ospitate” di sicuro richiamo. Da Marisa Laurito a Renzo Arbore, con tanto in intervista a Giovanni Rana, il guru dei tortellini.
Detto questo ieri c’era un grande assente nel padiglione che ospita il salone: la pasta cotta. Sono arrivato attorno all’ora di pranzo e mi aspettavo di mangiarne (pagando, naturalmente)  in tutte le salse e con tutti gli accostamenti possibili quanto a sughi e intingoli. Nulla di tutto questo: ho dovuto accontentarmi di una Spianata alla bolognese con crudo, formaggio e rucola. Mangiata in piedi, per di più. Roba da pausa pranzo milanese, rubata tra un appuntamento, una riunione e una raffica di telefonate. In verità le degustazioni ci sono pure ma sono irreggimentate: nulla a che vedere con il piacere sublime di sperimentare un piatto di spaghetti e un buon rosso in tutta tranquillità. Pazienza.
Ma la trasferta bolognese del Casalingo di Voghera non è stata inutile. Se ricordate avevo concluso il post di annuncio su Pasta Trend, sabato 26 marzo, chiedendomi se vi fosse spazio per il vero made in Italy. Ebbene sì, l’ho trovato. Ho scoperto, nell’ordine, che la De Cecco ha anche l’extravergine italiano e che esiste anche la pasta prodotta a partire da grano duro coltivato nel nostro Paese: si tratta della Pasta Ghigi, il cui impianto di produzione è situato nell’entroterra di Rimini, in piena Valconca. Ma le sorprese positive non finiscono qui: oltre ai soliti artigiani del maccherone che fanno dell’origine una bandiera (per esempio la “Pasta di Aldo”) ne ho conosciuto uno nuovo (per il sottoscritto): il pastifiocio Leonessa di Napoli.
Ecco i dettagli di quanto ho scoperto. Allo stand De Cecco, rutilante di luci ed effetti speciali, ho appreso che oltre alla varietà di olio extravergine distribuito universalmente nella grande distribuzione (quello con l’etichetta blu, fatto con oli comunitari) l’azienda di Fara San Martino ha anche il vero olio italiano. Diversa l’etichetta, di un rosso tendente al granata. C’è poi una bottiglia, “speciale”, con la bandierina italiana sulla confezione, fatta con il meglio delle olive italiane. Tutto sta a trovarle queste due bottiglie. Di cartellini nemmeno a parlarne: «Al consumo quella top potrebbe costare anche 14 euro», ci ha raccontato Gunter Willaert, export area manager della De Cecco.
Per la pasta, invece, alla fine come dicevo ho trovato quanto cercavo: maccheroni tutti Made in Italy. A produrli è il pastificio Ghigi, uno storico marchio fondato addirittura nel 1870, l’anno della breccia di Porta Pia, dal fornaio Nicola Ghigi. Dopo alterne vicende e un lungo periodo in amministrazione controllata la società fallisce nel 2007 per rinascere però lo scorso anno con un progetto – strano a dirsi – rivoluzionario: produrre una pasta a chilometri zero che possa davvero definirsi italiana, dal campo alla tavola. Regista dell’operazione nonché numero uno della nuova gestione è Filippo Tramonti, presidente del Consorzio agrario di Forli, Cesena e Rimini che conferisce la materia prima assieme ad altri consorzi agrari italiani.Mi piacerebbe visitare l’impianto per descriverlo sul blog e capire il meccanismo di stoccaggio e lavorazione del grano duro.
Altra pasta tutta italiana è la Leonessa. Nulla a che vedere con la divisione corazzata italiana della seconda guerra mondiale, fra l’altro l’unica equipaggiata con carri tedeschi. Il nome si deve all’imponente proprietario, Oscar Leonessa, che nel frastuono della fiera (a quel punto erano cominciati i concertini di Arbore) mi racconta della sua scelta di andare sul mercato con un prodotto «veramente» italiano, confezionato in un pacchetto trasparente dal look nuovo e accattivante.
Un’avvertenza è d’obbligo: queste paste non si trovano in tutta Italia. Un po’ come per l’olio tricolore della De Cecco.
Per ora mi fermo qui. Ometto di descrivervi i prodotti che di italiano hanno solo la confezione, di cui per altro non mancavano diversi esempi a Bologna. Per una volta sono felice di non dover fare un elenco di etichette reticenti.

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