Prosciutti in crisi per autoconcorrenza sleale

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Due cosce di maiale su tre fra quelle lavorate dalla norcineria italiana sono importate. E sono destinate – lo spiega Paolo Tanara, il presidente del Consorzio del Crudo di Parma, «a prodotti di scarso pregio che nulla hanno a che fare con il lavoro dei consorzi». Peccato che sui banconi del supermercato, i salumi Dop si confondano con gli altri al punto da essere quasi indistinguibili. I finti prosciutti italiani che rappresentano almeno il 50% delle referenze offerte dalla grande distribuzione, sono allettanti all’aspetto tanto quanto lo possono essere il Parma o il San Daniele. E sono imitati così bene da trarre in inganno la stragrande maggioranza dei consumatori. Complice l’assenza di simboli che indentifichino come sicuramente italiani quelli dei consorzi (a proposito: perché i bollini gialli e rossi sono così piccoli?) appena 4 su 100 sanno cosa sia un disciplinare, come funzioni e cosa comporti. Lo dimostrano i risultati dell’indagine sulle casalinghe di Voghera di cui ho dato conto nel post del 26 novembre. Sono i finti prosciutti italiani, prodotti da salumifici italianissimi, a mettere in crisi la filiera del suino made in Italy. Fino a quando i consumatori saranno indotti in errore e acquisteranno il crudo che ritengono made in Italy al 100% ma che di italiano ha soltanto la confezione, c’è poco da meravigliarsi se poi i veri prosciutti italiani non si vendono.
Non si tratta, è bene chiarirlo subito, dei classici tarocchi fatti all’estero. Parlo di aziende italiane che acquistano la materia prima all’estero e poi la lavorano trasformandola in prosciutti, coppe e salami made in Italy. La crisi della nostra norcineria è dovuta all’autoconcorrenza sleale fatta dentro le mura di casa da salumai italiani. Che poi si lamentano perché le quotazioni dei prodotti di qualità, a cominciare dalle Dop, stanno precipitando. Come ha fatto Lisa Ferrarini, che sulla Gazzetta di Mantova del 7 dicembre scorso ha lanciato un allarme anacronistico: «Troppi prosciutti Dop, l’offerta è fuori controllo e le quotazioni lontane dall’andamento del mercato». Ma se i consumatori non riescono a percepire nemmeno la differenza fra un prosciutto Dop (sicuramente italiano) e uno non Dop (sicuramente d’importazione), come pretendere di valorizzare l’eccellenza e l’esclusività dei nostri prodotti? Ci sono dei casi di noti marchi della norcineria italiana che vendono, sullo stesso bancone, sia il prosciutto Dop sia il finto prosciutto italiano. Un caso conclamato di autoconcorrenza sleale. Che mi riprometto di documentare presto.

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