«Il decreto sull’obbligo di indicare lo stabilimento in etichetta, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 7 ottobre 2017 vale meno della carta su cui è stampato. Parola di Dario Dongo, avvocato, uno dei massimi esperti in circolazione di diritto alimentare. Ha accettato di fare una chiacchierata con me su un avvenimento che potrebbe obbligare l’attuale governo a rivedere tutte le norme in materia di etichettatura alimentare. 

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L’avvocato Dario Dongo è uno dei massimi esperti europei di diritto alimentare

Avvocato Dongo, tutto nasce da una querela e da una citazione in sede civile dell’ex viceministro delle Politiche agricole Andrea Olivero che aveva fatto istanza al tribunale per obbligarla a rimuovere dal portale Great Italian Food Trade i pezzi sulla controversa vicenda dello stabilimento in etichetta. Conferma?
«Io ho denunciato pubblicamente gli abusi posti in essere da Maurizio Martina, Carlo Calenda, Paolo Gentiloni, i quali hanno violato platealmente le regole di notifica delle norme nazionali, che vigono dal 1983 in Europa. Ho pure denunciato la falsità delle dichiarazioni di Andrea Olivero, il quale ha sostenuto la piena vigenza del decreto sulla sede dello stabilimento pur sapendo, lui come i predetti, che la Commissione europea aveva notificato atti ostativi i quali sono stati tenuti nascosti per diversi mesi, anche sotto elezioni».

Come siete finiti in tribunale?
«L’azzeccagarbugli di Olivero mi ha intimato di rimuovere gli articoli e di non “offendere più” il suo tracotante assistito, io ho risposto picche rivendicando il diritto costituzionale di libera espressione del pensiero critico. Mi hanno querelato e citato in giudizio civile, ma la giustizia ha trionfato».

La sentenza ha dato torno a Olivero e ragione a lei. Ora cosa può succedere?
«Il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio dovrebbe fare ordine al Ministero, rimuovendo i funzionari infedeli alla missione pubblica, i quali hanno coperto gli abusi dell’ex governo. Propalando a loro volta notizie false».

Tutto qui?
«Bisogna anche riportare ordine su circolari false, ove è rivendicata la piena applicabilità del decreto invece fuorilegge. Espongono la Pubblica Amministrazione e i suoi funzionari a rischi anche gravi».

Il giudice della causa civile che ha vinto è entrato nel merito e la sua ricostruzione conferma passo passo la sua lettura pubblicata sul portale Greatitalianfoodtrade.it: il decreto che obbliga le imprese a indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento è carta straccia. Possibile che Martina e Gentiloni non abbiano preso in considerazione questa eventualità?
«Martina, poi sostituito da Gentiloni come facente funzioni alle Politiche Agricole, e Calenda hanno calpestato le regole basilari del condominio Europa che vigono da 35 anni. Impossibile credere alla beata ignoranza, imprudenza e imperizia, se pure gli stessi abbiano dato gran prova anche di ciò. Hanno invece messo in scena un grande circo nel quale gli elettori e gli agricoltori hanno assistito alla scena teatrale della falsa battaglia per le etichette trasparenti. Rassicurando invece la finanzindustria sulla patente illegittimità di decreti privi ab origine dei requisiti di condotta».

Mi sta dicendo che era tutto previsto?
«Direi di sì».

La stessa sorte potrebbe toccare ai decreti su pasta e riso? E quello sul latte?
«Tutti i decreti sull’origine in etichetta sono illegittimi per insanabili vizi di forma e di sostanza. A dispetto delle fake news propalate in ogni dove, purtroppo è tutta carta straccia».

E non c’è altra strada se non ripresentare a Bruxelles i provvedimenti sulle etichette trasparenti?
«Il tempo è scaduto per le norme nazionali che prevedano l’indicazione obbligatoria dell’ingrediente primario sulle etichette dei prodotti alimentari. È infatti entrato in vigore, frattanto, il regolamento Ue 2018/775, quello che definisco OPT, Origine Pianeta Terra. Ho invano proposto ad alcune rappresentanze di filiera di presentare un ricorso contro tale regolamento, a mio avviso palesemente illegittimo. Ma ancora una volta, purtroppo, mi sono trovato solo».

Ma a Bruxelles dovremo pur chiedere qualcosa…
«L’unico decreto che oggi l’Italia può notificare a Bruxelles è quello che prescrive l’indicazione obbligatoria per l’origine delle carni servite alle collettività: trattorie, ristoranti, fast-food, take-away e catering. Poiché il regolamento UE 1169/11 (Food Information Regulation) riserva alla legislazione nazionale concorrente la disciplina dell’informazione sui prodotti somministrati alle collettività (oltreché quelli venduti sfusi e preincartati), mentre sulle etichette di quelli preimballati è solo l’Europa a decidere. Il decreto origine carni al ristorante è già pronto, lo avevo scritto su incarico del Consorzio Italia Zootecnica che lo presentò a Martina, il quale peraltro non ha combinato nulla al di là delle chiacchiere».

Tutto qui? Per quanto sia importante sapere cosa ci servono al ristorante, mi sembra solo una parte del problema… La partita con l’Unione europea è chiusa definitivamente?
«No. La Commissione può attivare in qualunque momento una procedura di infrazione (EU-Pilot) nei confronti della Repubblica Italiana per gli abusi commessi sia sul decreto sulla sede dello stabilimento, sia sui decreti per l’origine. Ed è curioso, per usare un eufemismo, che la Commissione Juncker non sia ancora intervenuta per condannare gli abomini a firma Martina-Calenda-Gentiloni».

Il ministro Centinaio e i vicepremier Salvini e Di Maio hanno più volte annunciato provvedimenti sull’etichettatura d’origine. Non è che aspettano a presentarli alla nuova Commissione Ue e soprattutto col Parlamento che uscirà dalle prossime elezioni europee di maggio?
«Il governo in carica deve muoversi subito con la notifica del decreto origine carni al ristorante, che rappresenta un’urgenza per salvaguardare i consumAttori oltreché la zootecnia italiana. Deve invece attendere la defenestrazione di Juncker, ormai imminente, per affermare a livello europeo ciò che i consumAttori e la filiera di produzione chiedono a viva voce, “Made in” e origine dell’ingrediente primario obbligatori su ogni prodotto commercializzato nella Ue. È falso il teorema secondo cui tali obblighi sarebbero incompatibili con le regole del Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio, ndA), poiché già vigono in altri Paesi che vi aderiscono, come l’Australia».

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