È l’Europa che ci impone le etichette reticenti. Per nascondere l’origine dei cibi

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Le etichette sono reticenti. Raccontano soltanto una parte della verità. Ed è così per una scelta precisa. Dietro la scusa di armonizzare le norme per l’etichettatura negli stati aderenti all’Unione europea, si cela in realtà un disegno diabolico. Affrancare i prodotti alimentari dai legami con i territori di origine delle materie prime utilizzate per realizzarli. 

Meno compare in etichetta sul Paese dove è stato coltivato il grano per fare la pasta o quello da cui proviene il latte per i formaggi, meno si sa delle cosce utilizzate per i prosciutti e meglio è per Bruxelles. Ma soprattutto per la stragrande maggioranza delle industrie che acquistano materie prime in tutto il mondo e poi le «naturalizzano» nel Paese dove viene venduto il prodotto finito. 

Questa falsificazione è assolutamente legale e discende dall’articolo 60 del Codice doganale comunitario, che recita:

«Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più Paesi sono considerate originarie del Paese in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata». 

A concepire questa porcheria è stata la Commissione europea. Per porvi rimedio, il Parlamento Ue aveva assegnato alla Commissione il compito di emanare un regolamento nei casi in cui l’acquisizione dell’origine fosse ingannevole: in realtà quasi tutti. Ma i soloni di Bruxelles sotto la guida del sempre sobrio Jean-Claude Juncker hanno partorito un nuovo mostro, con l’atto applicativo 775/2018: un sistema di etichettatura che consente anche di dichiarare come origine: Ue e non Ue. Una dicitura che equivale a scrivere «pianeta Terra». Qui l’articolo dove racconto l’intera vicenda.

Qualche anno fa, sempre la Commissione europea, aveva bocciato con un parere circostanziato dapprima l’etichetta 100% Italia e poi quella per la trasparenza di filiera introdotta dall’allora ministro dell’agricoltura Luca Zaia. 

Dunque non è un caso se i consumatori faticano a distinguere sui banconi dei supermercati i cibi italiani da quelli importati. Per il Politburo di Bruxelles dev’essere così. Altrimenti gli amici tedeschi come farebbero a esportare le loro materie prime agricole e zootecniche che l’industria alimentare italiana trasforma magicamente in «made in Italy»? Le etichette reticenti sono funzionali a rendere possibile questa magia.

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